mercoledì 23 ottobre 2024
Il razzismo costa alla popolazione nera del Brasile 103 miliardi di reais, quasi 17 miliardi di euro
Ricchezza e sanità, Brasile campione (di disuguaglianze)
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Il razzismo costa alla popolazione nera del Brasile 103 miliardi di reais, quasi 17 miliardi di euro. Questo è il saldo delle differenze di reddito tra neri e bianchi in un Paese dove il salario medio è di poco superiore ai 3 mila reais (meno di 500 euro) e quello minimo supera di poco l’equivalente di 200 euro. Il dato è emerso da una ricerca del Neri, il Nucleo di Studi Razziali dell’università di San Paolo Insper, che ha preso in esame qualsiasi forma di lavoro, anche precaria e irregolare, su un campione di persone tra i 25 e i 65 anni, che secondo l’ultimo censimento sono il 54 per cento della popolazione, circa 112 milioni di abitanti. Tra di loro, i neri non sono affatto una minoranza ed è questa una grande differenza con altri Paesi contrassegnati dalla diversità e da profonde ingiustizie nella distribuzione della ricchezza, come ad esempio gli Stati Uniti, dove i neri sono meno del 15% della popolazione. Nello Stato lusofono invece sono molti di più e sono aumentati al punto da superare i bianchi: nell’ultimo censimento il 55% dei brasiliani si è identificato come nero o comunque non bianco e nemmeno di origine asiatica o indigena (con termini ormai superati si sarebbe detto mulatto o meticcio). Si tratta dunque di 113 milioni di persone, contro gli 88 milioni di bianchi e gli 1,7 milioni di indigeni.

I neri però continuano ad essere pesantemente discriminati: sottorappresentati in Parlamento, dove non arrivano al 30% dei seggi, costituiscono invece il 70% della popolazione carceraria e addirittura, secondo uno scioccante dato pubblicato recentemente dal Cisa (Centro de Informações sobre Saúde e Álcool), muoiono molto più facilmente dei bianchi in caso di patologie relative all’abuso di alcol. A causa infatti delle disuguaglianze nell’accesso al sistema sanitario, benché il Brasile a differenza degli Usa si sia dotato di una salute pubblica sul modello europeo, a parità di consumo di alcol il tasso di mortalità di un cittadino nero è di quasi il 30% superiore a quello di un cittadino bianco, cioè 10,6 decessi ogni 100 mila abitanti contro 7,9. E alle donne va ancora peggio: se non sono bianche, hanno il doppio di eventualità di non sopravvivere, partendo dallo stesso problema.

A monte di tutto ci sono le possibilità economiche, in un Paese dove secondo il Global Wealth Report 2023 della banca Ubs, praticamente la metà della ricchezza, il 48,4%, è in mano all’1% della popolazione, il dato più alto al mondo. Al secondo posto c’è l’India col 41%, mentre gli inventori del turbocapitalismo, gli Stati Uniti, registrano “solo” il 34,3% e l’Italia, che storicamente aveva un indice di Gini molto basso, risale posizioni con il 23,1% della ricchezza in mano ad un pugno di super ricchi (più di Francia e Regno Unito, per dire).

In Brasile, come non era difficile immaginare, l’1% più ricco è costituito per l’84% da bianchi, in particolare uomini che sono il 56% del totale (28% le donne), mentre i neri sono il 16%, di cui solo il 5% donne. Le percentuali si ribaltano analizzando l’1% più povero, composto per il 50% da donne nere, e in generale per il 76% da neri, secondo i dati elaborati dall’Insper. Nel 2024, un nero in Brasile guadagna in media il 42% in meno rispetto ad un uomo bianco, quasi la metà. I ricercatori di San Paolo hanno calcolato anche il differente impatto sulla disoccupazione, che affligge il 4,8% degli uomini neri contro il 3,5% dei bianchi, e quasi l’8% delle donne nere rispetto al 5,3% delle persone del loro stesso sesso ma con un colore della pelle più chiaro.

Persino gli aumenti di salario, adeguati all’inflazione che in realtà in Brasile è bassissima (anzi ad agosto si è registrata una lieve deflazione), segnalano discriminazioni: rispetto all’anno scorso, i neri guadagnano in media un 5% in più, contro il 7% in più intascato dai bianchi. «In materia di disuguaglianze sul lavoro sarebbe importante un intervento politico – ha suggerito Alysson Portella, uno degli autori dello studio –. Nel settore pubblico, con quote nei concorsi; nel settore privato, con incentivi. Negli Stati Uniti, per esempio, le aziende fornitrici del governo federale devono avere un quota minima di lavoratori neri».

Eppure il Brasile non è del tutto indietro sulla protezione della popolazione nera e femminile. Diverse università prevedono quote per neri, indigeni, transessuali e “quilombolas” (discendenti di comunità fondate da schiavi africani); il mondo del cinema e della televisione, dove ancora prevalgono i bianchi, ha imposto una presenza minima di attori e artisti neri; e la legge contro la violenza sulle donne (ogni 15 ore nel Paese c’è una vittima di femminicidio) è tra le più avanzate del mondo. Sulla distribuzione del denaro, però, non c’è ancora verso, sebbene la lotta alle disuguaglianze e alla povertà sia da sempre una priorità del presidente Lula. Questo governo ha sì ridotto l’estrema povertà dell’85% secondo i dati dell’Onu (da 17,2 milioni di brasiliani a rischio fame nel 2022 a 2,5 milioni l’anno scorso), ma continua ad essere determinante il colore della pelle.

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