Nei giorni buoni a Punta Arenas il vento tira a venti chilometri all’ora. Quando la corrente cresce però le raffiche superano anche i cento chilometri orari e spazzano le strade della città che si contende con Ushuaia il titolo di grande centro urbano più meridionale del mondo. Come a Trieste quando c’è la bora, le corde lungo le strade offrono un appiglio per non farsi portare via dalla forza dell’aria.
Parte da qui, dalla Patagonia, il progetto per fare del Cile uno dei grandi produttori dell’energia del futuro. A pochi chilometri dall’aeroporto in cui atterrano i turisti diretti a Capo Horn, Enel Green Power Chile e Highly Innovative Fuels stanno per completare il progetto Faro del Sur: turbine eoliche da 3,4 MW di potenza alimenteranno un elettrolizzatore a marchio Siemens che lavorerà l’acqua per produrre idrogeno. Il progetto Faro del Sur ha ottenuto 16,9 milioni di dollari di finanziamenti dal governo cileno nell’ambito del primo programma di incentivi per lo sviluppo dell’industria dell’idrogeno in Cile.
La nazione sudamericana è una di quelle che più potrà approfittare della crescita dell’idrogeno tra le grandi fonti di energia pulita del futuro. Nel Nord del Cile, il deserto di Atacama è una delle aree a maggiore irraggiamento solare del pianeta. Nella parte centrale c’è abbastanza luce da rendere l’energia fotovoltaica economicamente più conveniente che quella da fonti fossili. Il vento del Sud offre una impareggiabile potenza alle pale eoliche. Il governo cileno calcola di avere più di 1.800 GW di potenza energetica rinnovabile da sfruttare. È settanta volte il fabbisogno energetico nazionale. Una parte di questa energia rinnovabile può essere usata per separare le molecole d’acqua e ottenere idrogeno da vendere nel resto del mondo.
La tecnologia della produzione di energia di idrogeno
le grandi navi, gli aeroplani, le auto.
Il potenziale dell’idrogeno nella transizione energetica è ormai cosa nota. Il primo elemento della tavola periodica può sostituire il gas naturale in molte applicazioni, così da abbattere le emissioni dannose per il clima. Perché l’idrogeno, quando brucia, produce solo vapore acqueo. La tecnologia della produzione di energia di idrogeno esiste da secoli, ma per molti aspetti è ancora all’inizio perché è stata poco sviluppata. L’idrogeno potrebbe riscaldare abitazioni, sostituire il gas nelle aziende a forte impatto ambientale come le acciaierie, le cartiere o gli stabilimenti chimici, diventare il nuovo carburante per le grandi navi, gli aeroplani, le auto. Il successo dell’idrogeno può anche contribuire a cambiare gli equilibri geopolitici. Il problema dell’idrogeno, per adesso, è il prezzo.
Per produrre idrogeno servono acqua come materia prima e gli elettrolizzatori come macchinari. Gli elettrolizzatori, che separano l’ossigeno dall’idrogeno, hanno bisogno di molta energia elettrica. Solo se quell’energia è prodotta da fonti rinnovabili l’idrogeno è “verde” e può trovare il suo posto nel mix energetico dei prossimi decenni. L’energia verde ha però un costo spesso ancora superiore a quello dell’elettricità da fonti fossili. Chi riuscirà ad avere energia rinnovabile a prezzi più bassi riuscirà a imporsi nell’industria dell’idrogeno. «Gli esperti ritengono che l’Australia, il Cile, il Marocco, l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti siano meglio posizionati per emergere come i maggiori produttori di idrogeno nel 2050» scrive l’Agenzia internazionale delle energie rinnovabili (Irena) in uno studio pubblicato poche settimane fa.
La geografia dell’idrogeno è molto diversa da quella del gas e del petrolio. Gli idrocarburi che estraiamo dal sottosuolo o si hanno o non si hanno. Il destino ha voluto che le maggiori quantità delle risorse che hanno alimentato la crescita economica mondiale negli ultimi due secoli siano in aree del mondo politicamente difficili, tra Nord Africa, Medioriente e Russia.
Per produrre idrogeno verde servono invece potenti raffiche di vento, oppure molta luce del sole. Secondo le stime dell’Irena, l’Africa subsahariana ha il potenziale di produrre 2.715 exajoule di energia dall’idrogeno verde a un costo inferiore agli 1,5 dollari al chilo per il 2050. Dopo l’Africa subsahariana il maggiore potenziale sta nel Medioriente, quindi in Oceania e nelle Americhe.
Gli Stati che sapranno organizzarsi per diventare grandi produttori di idrogeno potranno essere le potenze globali di questa nuova risorsa. Per alcuni Paesi che oggi devono importare energia la trasformazione potrà essere potente. Non c’è solo il Cile. Anche la Namibia e il Marocco si stanno muovendo bene con progetti per realizzare impianti di produzione di idrogeno sfruttando il loro grande potenziale di energia solare. Certo, c’è molta strada da fare. Occorre investire per tagliare i costi di produzione.
Quindi realizzare una rete di trasporto adeguata (oggi l’idrogeno è quasi sempre prodotto vicino ai luoghi in cui è consumato). Ma un po’ alla volta il mercato globale dell’idrogeno sta prendendo forma. L’Irena conta già 26 accordi bilaterali che riguardano la possibilità di import/export di idrogeno firmati prima di novembre 2021. Sul lato dei possibili compratori sono molto attivi i Paesi Bassi, il Giappone e la Germania. Tra i possibili esportatori l’Australia, la Namibia e il Cile sono quelli che hanno sottoscritto più accordi.
L’Italia non ha il sole dell’Africa né il vento della Patagonia,
Anche l’Italia prevede di firmare i primi accordi bilaterali che coinvolgono l’idrogeno. Il governo conta però anche di fare del nostro Paese un rilevante centro di produzione di idrogeno. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ci sono 450 milioni di euro per realizzare un grande impianto per la produzione di elettrolizzatori così da arrivare a 1 GW di potenza entro il 2026. Prima di giugno di quest’anno occorrerà scegliere le aziende che si occuperanno di realizzarlo. Sempre nel Pnrr ci sono 300 milioni per convertire all’idrogeno le linee ferroviarie non elettrificate, 2 miliardi per convertire all’idrogeno almeno una grande fabbrica di un settore “hard to abait” (dovrebbe essere l’ex Ilva di Taranto), 160 milioni per migliorare le conoscenze delle tecnologie legate all’idrogeno e 230 milioni per costruire almeno 40 stazioni di rifornimento a idrogeno entro giugno 2026. Oltre agli investimenti nel Pnrr ci sono riforme per agevolare lo sviluppo dell’industria dell’idrogeno, da approvare già nella prima parte di quest’anno.
L’Italia non ha il sole dell’Africa né il vento della Patagonia, ma ha le aziende e le competenze per conquistarsi un ruolo centrale in questo settore: Snam sperimenta da tempo l’immissione di idrogeno nella rete, Enel è molto attiva su questo fronte (e non solo in Cile) così come Eni, che ha firmato accordi per la produzione di idrogeno tra Regno Unito, Algeria, Egitto e Kazakistan. Servono collaborazione pubblico-privato, investimenti sulla ricerca e, soprattutto, una strategia precisa. La partita globale dell’idrogeno è solo all’inizio.