mercoledì 29 maggio 2013
E ora l’export potrebbe crescere di 10 milioni di euro. Il sì alle vendite arriva dopo oltre 40 anni di stop. Gli industriali del settore: per colpa di questi divieti, le perdite sono state pari a 250 milioni di euro l’anno.
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Dopo oltre quarant’anni, salami, coppe e pancette italiane possono nuovamente essere venduti negli Stati Uniti. È un evento storico non solo per i buongustai ma per tutta l’economia, e soprattutto per un comparto che vale complessivamente otto miliardi di euro, duemila aziende e quasi 34mila occupati. Ma il via libera delle autorità statunitensi ad alcune delle più importante prelibatezze nazionali, scattato ieri, vale anche per il suo significato politico oltre che commerciale. Finisce un’epoca buia di protezionismo alimentare negli Usa e inizia, forse, un’era nuova, in cui i produttori italiani potranno farsi valere più di prima.Il sì alle vendite negli Stati Uniti dei salumi a breve stagionatura è contenuto in un provvedimento dell’Aphis (Animal and Plant Health Inspection Service), e riguarda i prodotti di Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e delle Province autonome di Trento e Bolzano. La decisione arriva dopo oltre 15 anni dalla prima richiesta, e supera una delle barriere non tariffarie (cioè quelle legate ad aspetti tecnici delle merci) più pesanti che impedivano il pieno sviluppo delle esportazioni italiane di salumi nel mondo. Basta pensare che secondo Assica (l’Associazione industriali delle carni e dei salumi), le perdite dovute a questi divieti sono pari a 250 milioni di euro l’anno: la completa liberalizzazione garantirebbe da 200 a 210 milioni di maggiore export di carni e frattaglie, e 40/50 milioni di euro di salumi. Solamente il blocco dei salumi negli Usa avrebbe portato danni per mancate vendite per circa 2mila tonnellate e 18 milioni di euro ogni anno.«Abbattere rapidamente queste barriere - spiega la presidente di Assica, Lisa Ferrarini - è fondamentale. Mentre le nostre aziende attendono i necessari provvedimenti, infatti, i concorrenti europei e i produttori locali rafforzano le loro posizioni commerciali, che saranno difficilmente recuperabili in futuro». Comprensibile, quindi, la soddisfazione per il primo risultato raggiunto negli States. Anche se il via libera americano contiene alcuni vincoli, come quelli legati alle aree di provenienza dei prodotti, e impone un carico burocratico maggiore del solito.L’abolizione delle barriere americane per i salumi nazionali, tuttavia, fa ben sperare i produttori. Si tratta dell’apertura di un mercato di 250 milioni di cittadini i quali, come fa notare la Coldiretti, «fino ad ora sono stati costretti ad acquistare imitazioni di bassa qualità realizzate fuori dall’Italia». I coltivatori, però, aggiungono: «Per combattere i tarocchi internazionali negli Usa è importante che anche l’Italia faccia una scelta di trasparenza contro l’inganno del falso Made in Italy con l’esportazione - magari anche sovvenzionata - di salumi che nulla hanno a che fare con gli allevamenti italiani, ma ottenuti con carni importate dall’estero». Mentre Confagricoltura e Cia-Confederazione italiana agricoltori sottolineano il «significato commerciale» dell’apertura delle frontiere Usa proprio «in questo momento in cui il nostro comparto suinicolo sta attraversando una delle più pesanti fasi negative degli ultimi anni». Ad indicare la strada, d’altronde, ci sono i numeri. Nel 2012, secondo Assica, le esportazioni dei salumi italiani hanno superato quota 138mila tonnellate (+3,8%) per 1,116 miliardi di euro (+7,2%). Mentre solo l’apertura degli Usa potrebbe significare, nel 2014, un aumento dell’export pari a circa 10 milioni di euro, a cui va aggiunto un "effetto traino" sulle vendite di prosciutti crudi, prosciutti cotti e Mortadelle.
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