È ormai allarme rosso per l’Ungheria, mentre si fanno sempre più accese le polemiche per le discusse norme sull’indipendenza della banca centrale magiara e la libertà di stampa. Ieri è andata sostanzialmente fallita un’asta di titoli di Stato ungheresi, il tesoro di Budapest ha potuto collocare bond a 12 mesi solo per 35 miliardi di fiorini contro i 45 miliardi (143 milioni di euro) previsti. Il tutto mentre il rendimento è schizzato a livelli assolutamente insostenibili, 9,96% contro il 7,91% dell’asta precedente di fine dicembre. In picchiata ieri anche il fiorino che ha toccato un minimo di 324 sull’euro per poi stabilizzarsi poco sopra quota 320. Chiarissimo il messaggio dei mercati, tanto più che il rischio insolvenza per il Paese non è mai stato così alto: i contratti
credit default swap, che misurano il rischio
default hanno toccato un nuovo record. Sotto accusa è l’entrata in vigore, dal primo gennaio 2012, della controversa Costituzione che sostanzialmente pone la Banca centrale sotto la tutela del governo. Fonti comunitarie hanno già fatto sapere che per la Bce sarebbe molto difficile cooperare con una banca centrale non più indipendente.Non a caso sia il Fondo Monetario Internazionale, sia l’Ue hanno interrotto i negoziati per un prestito di emergenza di circa 20 miliardi. L’indipendenza della Banca centrale ungherese, ha avvertito Olivier Bailly, uno dei portavoce della Commissione Europea, «è un prerequisito indispensabile» per la concessione di aiuti a Budapest. «Una decisione sull’avvio dei negoziati formali – ha aggiunto – ci sarà solo quando avremo certezza dell’ambiente legale». Bailly ha ricordato che «l’articolo 130 del Trattato di Lisbona stabilisce che le banche centrali europee siano pienamente indipendenti e non possono ricevere istruzioni da alcun politico sopra di loro». Della questione discuterà il presidente della Commissione José Manuel Barroso con i suoi commissori mercoledì prossimo. La pressione e l’emergenza sui mercati hanno probabilmente già "ammorbidito" il governo magiaro, stando almeno a quanto dichiarato ieri da Tamas Fellagi, il capo negoziatore di Budapest con il Fmi. «Siamo consci della difficoltà della situazione – ha detto in conferenza stampa – vogliamo un accordo con il Fondo monetario e se serve potremmo cambiare anche la legge sulla banca centrale». L’11 gennaio una missione del Fmi sarà a Budapest, Fellagi ipotizza un accordo provvisorio, sotto forma anzitutto di garanzie e non di soldi immediati. A cercare di calmare le acque è stato anche il ministro dell’Economia ungherese Gyorgy Matolcsy, con una lettera al presidente della Bce Mario Draghi nella quale sostiene che l’indipendenza della banca centrale ungherese non è messa in discussione.A preoccupare sono però anche altre normative approvate dal governo Orban e considerate liberticide, come quella che prevede che la stampa sia messa sotto il controllo di una speciale commissione governativa. Proprio in questi giorni il governo ha tolto le frequenze all’ultima emittente radiofonica ancora dell’opposizione,
Klubradio, mentre decine di migliaia di persone hanno dimostrato in piazza. Due giorni fa la Commissione Ue ha ricordato una sentenza della Corte costituzionale magiara che a fine anno aveva definito illegittima parte della normativa, e ha avvertito di voler analizzare il nuovo quadro giuridico e di esser pronta, all’occorrenza, ad aprire una procedura d’infrazione.Più avanti si spinge il Parlamento Europeo. Ieri il vicepresidente del gruppo dei Socialisti e Democratici, l’austriaco Hannes Swoboda, e il leader degli Euroliberali, l’ex premier belga Guy Verhofstadt, hanno chiesto l’applicazione dell’articolo 7 del trattato di Lisbona, previsto in caso di violazioni ai principi fondanti dell’Ue in tema di democrazia, libertà fondamentali e diritti dell’uomo. Tra le sanzioni previste anche la sospensione del diritto di voto nell’ambito del Consiglio Ue. Ieri comunque, per allentare le tensioni, il governo ha annunciato che proporrà al Parlamento un’amnistia per 43 manifestanti arrestati il 23 dicembre durante le proteste contro la nuova costituzioni.