Giulio Tremonti rompe un silenzio di dieci giorni e provoca un mezzo
patatrac. Conferenza stampa al termine del vertice Ecofin, a Lussemburgo. Un giornalista chiede al super-ministro dell’Economia come si spiega che la Spagna, pur avendo fondamentali economici non migliori dei nostri, paghi meno interessi dell’Italia in forza di uno
spread (il differenziale di rendimento rispetto al
Bund tedesco) oggi inferiore al nostro. «Ci sono tante varianti», prende tempo il ministro, prima di riservare un affondo micidiale: «Può dipendere anche dall’annuncio di nuove elezioni, che di per sé è una prospettiva di cambiamento e quindi un’apertura al futuro».È l’opinione che il titolare del Tesoro dà sul piano politico, assieme a due considerazioni di taglio più economico: la valutazione che la crisi, dopo essere partita dai debiti privati e aver coinvolto anche quelli sovrani degli Stati, ora «si vede da ultimo nelle banche» e la ripetizione che «con il pareggio di bilancio noi abbiamo la tenuta dei conti, anche in assenza di crescita». Per Tremonti, insomma, la barra dritta sul bilancio resta il valore primario. Cadono così nel vuoto tutti gli appelli, rivolti dai maggiori organismi internazionali ma alla fine fatti propri anche da parte del governo, a far sì che si faccia tutto il possibile per risollevare una crescita economica che da noi langue paurosamente.Inevitabilmente, è però la frase più politica a calamitare l’attenzione. Il ministro, a dire il vero, ha precisato subito che non si riferiva anche all’Italia: «Dicevo così, per dire», ha aggiunto sorridendo ai giornalisti, citando anche il caso della Francia dove, a esempio, il balzo dei tassi d’interesse è «avvenuto per altri motivi» ancora. In Italia, però, da tutti la battuta è stata letta in un certo modo. Tanto che il suo portavoce si è affannato prima a precisare che «da sempre quando parla all’estero con la stampa il ministro evita temi italiani», poi a far diramare una nota in cui Tremonti stesso tiene a chiarire ulteriormente: «Non stavo parlando di politica interna. Ogni riferimento all’Italia è di conseguenza totalmente infondato e strumentale. Ogni Paese ha la sua particolare situazione. L’Italia ha appena fatto il pareggio di bilancio e sta facendo la Legge di stabilità».Al titolare del Tesoro (anche se alcuni hanno interpretato questa uscita come un’emersione del suo scontento, perché si sarebbe ormai reso conto di non avere
chance sulla designazione di Grilli per Bankitalia) continuano a premere altre priorità. In particolare quella sui conti pubblici italiani che «sono in sicurezza». Siamo qui «sulla strada giusta e necessaria», che per Tremonti (che ha ripetuto il concetto già sbandierato a Washington, ai lavori del Fmi) è «quella dell’avanzo primario per ridurre il debito», cioè l’attivo di cassa senza la spesa per interessi che per noi «è necessario» e dove «l’Italia è uno, forse l’unico Paese al mondo, ad averlo» (quest’anno dovrebbe arrivare allo 0,9%). Merito - e qui è tornato il Tremonti "governativo" - delle scelte dell’esecutivo, «che ha fatto le cose giuste nei tempi giusti».Un lavoro che, peraltro, è «stato riconosciuto» dalle istituzioni europee, ma non dai mercati che perseverano a negare fiducia all’Italia. Per questo il ministro dell’Economia ha confessato: «Preferirei non avere un avanzo primario e magari avere anche il deficit, ma con un debito più piccolo. Sarebbe bene avere un Pil che cresce e basso debito». E il Paese è sotto attacco della speculazione, ha spiegato, «perché abbiamo un debito enorme».Da qui la via obbligata di ridurre il debito attraverso l’avanzo primario, per fronteggiare una crisi che oggi «ha epicentro in Europa e si estende anche alle banche», nel mondo e in Europa, come dimostra l’ultimo caso della Dexia. Una situazione che tocca però ancora marginalmente le banche italiane, come hanno precisato pure diversi esponenti di primo piano, fra cui Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi («Al momento a me non risulta ci sia un problema di liquidità», ha affermato), e Federico Ghizzoni, ad di Unicredit.Infine il ministro è tornato su un tema a lui caro: gli eurobond. «Se li vogliamo, dobbiamo avere un livello maggiore di
governance» nella Ue, ha ripetuto sostenendo che «la discussione fra ministri e anche in politica, ad esempio nel Partito popolare, è che serve una
governance, un’architettura istituzionale più forte». Solo alla fine di questo processo si potrà «modificare il Trattato», come necessario per l’
ok agli eurobond.