Il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk non esita a parlare di breakthrough, «svolta». Perché il vertice Ue-Cina che a Bruxelles ha riunito il premier di Pechino Li Keqiang, Tusk, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker e vari commissari, ha portato a una dichiarazione congiunta in cui Pechino per la prima volta accetta di discutere di temi finora tabù: la parità di trattamento delle aziende europee in Cina, i sussidi alle sue industrie, lo stop al transfer tecnologico forzato. «Spiegheremo ai cinesi – aveva detto Juncker prima del vertice – che le imprese europee in Cina debbono godere degli stessi diritti di quelle cinesi in Europa». «I negoziati sono stati difficili – dirà Tusk – ma alla fine sono stati fruttuosi. Siamo riusciti a concordare una dichiarazione comune che indica la direzione delle nostre relazioni fondate sulla reciprocità». Soprattutto, «abbiamo concordato di affrontare la questione dei sussidi industriali. È una svolta». Per giorni i cinesi avevano fatto muro, tanto che i negoziatori Ue prevedevano un bis del vertice del 2017, chiusosi senza testo finale. Poi Pechino ha ceduto, lunedì sera è arrivata l’intesa confermata ieri a livello di leader. Un segno, commentano diplomatici, che la Cina teneva moltissimo a un risultato con l’Ue, anche in vista dei negoziati con gli Usa. E, inoltre, che Pechino dà grande importanza all’Ue nel suo insieme, nonostante gli accordi con singoli Stati membri (tra cui l’Italia). «Tali accordi – ha sottolineato Li – avvengono nel quadro e secondo le norme dell’Ue, l’unità europea è per noi di grande importanza». Ieri, peraltro, il premier è partito per Dubrovnik, in Croazia, dove resterà per due giorni per una riunione del 16+1 (tra cui 14 stati membri Ue). «Le due parti – si legge nella dichiarazione – riaffermano l’impegno congiunto a cooperare per la riforma della Wto» e questo «con l’obiettivo di rafforzare le regole internazionali sui sussidi industriali». Inoltre «si impegnano che non vi debba essere alcun transfer coatto di tecnologia». E si parla di «accesso di mercato notevolmente migliorato», con «l’eliminazione di requisiti e pratiche discriminatori che colpiscono investitori stranieri (in Cina ndr)». Evidenziata pure la difesa della proprietà intellettuale e la necessità di rafforzare la sicurezza in Rete. Nel testo c’è inoltre l’impegno di chiudere entro il 2020 un accordo sugli investimenti Ue-Cina in discussione da anni, e entro il 2019 uno per la tutela delle denominazioni geografiche (quasi pronto). «Il vertice di oggi – avverte Juncker – è una grande passo in avanti, ma gli impegni hanno valore solo se li attuiamo». «Tradurremo in azioni concrete la nostra parola – rassicura Li – le imprese europee in Cina godranno di pari trattamento», entro giugno Pechino accorcerà e la lista dei settori chiusi agli investitori esteri. «La Cina – aggiunge Li – continuerà sicuramente ad aprirsi, perché l’apertura ci ha già portato sviluppo e crescita». Non è mancato un riferimento alle telecomunicazioni di ultima generazione, il 5G. «Ci deve essere la presunzione d’innocenza» ha detto Li, alludendo al colosso cinese Huawei. L’Ue, ha detto Juncker, «non prende di mira fornitori specifici», il nodo è «combinare l’innovazione con la sicurezza, che vanno mano nella mano».
Alla fine del vertice con il premier Li arriva una dichiarazione congiunta su accesso al mercato e trasferimenti forzati di tecnologia industriale
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