domenica 21 settembre 2014
​Mercato da 10 miliardi. «Potenziale in crescita». La ricerca di Iris Network: il 30 per cento del valore fa cap all'1% delle coop sociali. Avanza il non profit market.
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Gli anni che stiamo vivendo potrebbero essere quelli di una nuova 'grande trasformazione', del definitivo superamento cioè della dicotomia Stato-mercato. Dove l’impresa sociale potrebbe svolgere un ruolo da protagonista assoluta nel modellare un’economia e una società dal volto più umano. Uno scenario affascinante che, prendendo a prestito il titolo della celebre opera di Karl Polanyi, è stato evocato nei giorni scorsi in occasione della XII edizione del Workshop sull’impresa sociale organizzato a Riva del Garda da Iris network (la rete degli istituti di ricerca sull’impresa sociale) con il sostegno fra gli altri di Fondazione Cariplo e Banca Prossima (la banca del Gruppo Intesa Sanpaolo per il Terzo settore). Un appuntamento- chiave per comprendere in che stato si trova l’economia sociale in Italia e quali sono le sue prospettive di sviluppo. A scattare una fotografia aggiornata del settore sono stati i primi dati del nuovo Rapporto Iris sulle imprese sociali, che verrà presentato integralmente nelle prossime settimane. E che nell’anno che ha visto il varo della riforma del Terzo settore, e in particolare della legge sull’impresa sociale, non poteva che mettere a fuoco in primo luogo consistenza e tipologia delle imprese sociali ex-lege 118/05.  Se ne contano 774 fra quelle registrate nell’apposita sezione presso le Camere di Commercio, di cui il 58% nato negli ultimi tre anni. Ma altre 574 risultano, per la verità abbastanza inspiegabilmente, fuori sezione, per un totale che supera dunque abbondantemente le 1.300 realtà. Quasi il 60% è concentrato in settori quali sanità, assistenza, educazione e istruzione. E quattro su cinque (il 79%) hanno come cliente principale non l’ente pubblico ma cittadini e famiglie. Molto più numerose sono ovviamente le cooperative sociali, che costituiscono la forma più tradizionale e diffusa d’impresa sociale in Italia: se ne contano 12.570, il 43% è al Sud e, soprattutto, il 21% è di nascita recente, tra il 2007 e il 2011, a dimostrazione che anche nel pieno degli anni della crisi l’impresa sociale ha continuato ad essere una strada attraente e battuta. I lavoratori nelle cooperative sociali sono oltre mezzo milione (513mila), con una larga maggioranza di presenze femminili (75%), il 63% di assunti a tempo indeterminato e più di 30mila lavoratori svantaggiati. Quanto al peso in termini economici, l’insieme delle cooperative sociali ha un valore della produzione superiore ai 10 miliardi di euro (e investimenti per 8,3 mi-liardi), di cui un 30% fa capo solamente all’1% delle cooperative sociali, circa 130 realtà di dimensioni dunque più che ragguardevoli.  In una prospettiva di sviluppo del settore, tuttavia, si possono considerare ancora più significativi i dati riferiti alle cosiddette imprese sociali potenziali, che cioè non lo sono formalmente ma operano di fatto come tali. Escluse le cooperative sociali, infatti, il resto di quello che viene indicato come non profit market, cioè il non profit produttivo, orientato alla produzione di beni e servizi sul mercato, si compone di oltre 80mila realtà. Viceversa, le imprese profit che operano in settori sociali, come ad esempio sanità, sport e ricreazione, cultura, e che possono venire anch’esse considerate imprese sociali in potenza, ammontano a quasi 62mila. Il che significa una platea complessiva di imprese sociali potenziali superiore alle 140mila unità. Numeri importanti, come si vede, di un settore che anche negli anni della crisi ha continuato a camminare. E che col supporto di una buona struttura normativa potrebbe persino cominciare a correre.
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