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L’indagine, realizzata a settembre, ha coinvolto lavoratori di pmi con almeno dieci dipendenti in vari settori produttivi, dalla manifattura ai servizi. I risultati sono purtroppo sconfortanti: con la complicità dell’anonimato gli italiani manifestano un malessere diffuso. I due anni di pandemia sembrano aver lasciato il segno, ma se nei paesi anglosassoni la reazione è stata violenta, con il fenomeno delle dimissioni di massa, in Italia dove il mercato è assai meno dinamico, l’insoddisfazione rischia di trasformarsi in problemi psicologici seri.
Nel 67% delle aziende italiane non esiste alcun servizio di supporto psicologico. A soffrire di più sono i blue collar, versione moderna delle tute blu. Gli operai manifestano livelli di stanchezza, stress e preoccupazione per il futuro elevati e si trovano spesso in realtà “rigide” dove manca sia la flessibilità, intesa come conciliazione tra vita privata e lavoro, sia la possibilità di parlare dei propri problemi con tranquillità. Un’altra categoria particolarmente esposta è quella che viene definita la generazione sandwich: quarantenni o giù di lì con figli piccoli da accudire e genitori anziani non autosufficienti. Hanno sulle spalle un carico emotivo importante al quale riescono a far fronte con fatica.
«Il covid e i lockdown sono stati un vero e proprio spartiacque, adesso c’è la necessità di ricostruire la relazione tra i lavoratori e le aziende» spiega Massimo Sumberesi direttore generale di Doxa-Bva. I numeri sono preoccupanti: il 76% dei lavoratori, con un aumento del 14% rispetto al 2022, ha provato almeno una volta uno dei principali sintomi del burnout: sensazione di sfinimento, calo dell’efficienza lavorativa, aumento del distacco mentale, cinismo rispetto al lavoro. Uno su cinque ha ricevuto una diagnosi medica di burnout ma per i blue collar questo non si è tradotto in un periodo di riposo prolungato (soltanto il 18% si è assentato per oltre cinque giorni, contro il 55% dei white collar). I principali motivi sono il sovraccarico lavorativo, avvertivo in modo particolare dai colletti bianchi e il mancato riconoscimento del lavoro svolto, indicato soprattutto dai dirigenti. Lo stress lavoro-correlato riguarda la metà degli impiegati e il 61% dei dirigenti. Il 62% dei lavoratori prova sensazioni di ansia relativa al lavoro e il 53% soffre di insonnia. Tra le emozioni spiacevoli al primo posto c’è la stanchezza (percepita dal 50% dei colletti blu e dal 40% dei colletti bianchi) seguita dal distress (lo stress cattivo), incertezza e preoccupazione per il futuro. Il 54% del campione afferma di aver lasciato il lavoro a causa un malessere emotivo: un fenomeno che riguarda in maniera particolare i giovani. Per Gen Z e Millennials sale infatti al 66% e 59%.
«Siamo di fronte ad un cambio di prospettiva rispetto agli anni ’90 il tema è quello dell’attrazione e del mantenimento delle risorse - spiega ancora Sumberesi -. I giovani oggi valutano un posto di lavoro soprattutto in base ai “valori” dell’azienda. Si aspettano di poter parlare dei loro problemi e di avere politiche efficaci di work-balance».