Devono essere state le decine di migliaia di nuove automobili già pronte, o quasi, ferme nelle fabbriche in attesa dei chip a convincere Joe Biden che è il momento di risolvere il problema della scarsità di semiconduttori. Il presidente americano domani riunirà alla Casa Bianca i manager di almeno venti grandi società tecnologiche e dell’auto (compresa Stellantis) per discutere di come procurare alle fabbriche americane i chip di cui hanno bisogno. La presenza al vertice di Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, conferma che la carenza di chip non è una questione solo industriale. È dall’estate del 2020 che in tutto il mondo le aziende hanno iniziato a subire rallentamenti nelle consegne di microchip. Sembrava uno dei tanti problemi di filiera giustificati dalla pandemia: gli stop delle fabbriche in primavera avevano creato un “buco” produttivo da colmare. Invece era qualcosa di più. La domanda mondiale di chip era già in aumento da diversi anni, soprattutto per l’utilizzo sempre più massiccio di semiconduttori per la produzione di automobili: un’auto moderna monta in media 100 microprocessori. Le richieste di semiconduttori sono esplose a causa del Covid-19. La diffusione improvvisa di didattica a distanza e telelavoro in tutto il mondo ha rilanciato le vendite dei compu-ter, che erano stagnanti da anni, e accelerato quelle di altri dispositivi per il lavoro da casa. Il guaio della nave Evergreen, che a fine marzo ha bloccato il canale di Suez per una settimana bloccando l’export da Oriente, è stato l’evento imprevisto che ha peggiorato ulteriormente le cose.
«È una tempesta perfetta, non se ne andrà presto» ha ammesso Ted Mortonson, analista di Baird. I governi sono preoccupati in particolare dai problemi del settore dell’auto, che ha un impatto più significativo di quello dell’elettronica sull’economia generale. «La carenza di semiconduttori ha costretto molte società di produzione di automobili a rallentare la produzione lo scorso anno, quindi è diventato un settore strategico» ha confermato Mario Draghi nella conferenza stampa di giovedì scorso, rispondendo alla domanda sul “golden power” con cui il governo italiano ha impedito la vendita della quota di controllo di Lpe, produttore milanese di reattori destinati alla produzione di semiconduttori, alla Shenzhen Investment, una delle holding del governo cinese. Gm ha calcolato che la carenza di chip le costerà 2 miliardi di ricavi per i rallentamenti della produzione e quindi delle vendite. Ford sembra destinata a una perdita simile. La società di analisi Ihs Markit calcola che da gennaio a marzo la mancanza di chip ha ridotto di 100mila auto al giorno la capacità produttiva dei costruttori di automobili americani. Biden all’incontro di domani punterà ad assicurare che in futuro gli Stati Uniti non soffrano più per la mancanza di chip. Secondo i dati dell’associazione americana dei produttori di semiconduttori, le aziende americane rappresentano il 33% della produzione mondiale di chip, ma solo il 19% dei chip è effettivamente prodotta negli Usa, che sono allo stesso tempo la destinazione finale dei prodotti che contengono il 25% dei chip prodotti nel mondo.
La situazione è speculare in Cina, dove sono basate le aziende che fanno il 26% della produzione di chip, le fabbriche che rappresentano il 35% della produzione globale e i clienti che comprano il 24% dei prodotti finali. Diverso il caso il caso dell’Europa, che è più bilanciata sul lato della produzione (ha il 10% delle aziende e delle fabbriche) ma è il mercato finale dei prodotti che contengono il 20% dei chip. Nel piano da 2mila miliardi di dollari per le infrastrutture, Biden ha previsto 50 miliardi di investimenti per incrementare la produzione di chip negli Stati Uniti. Qualcosa, nell’attesa, si sta già muovendo. Intel investirà 20 miliardi di dollari per costruire nuove fabbriche di chip in Arizona, dove già la Taiwan Semiconductor Manufacturing si è impegnata a investire 100 miliardi di dollari in tre anni per espandere la propria capacità produttiva. Sono comunque soluzioni a medio termine. Secondo diversi analisti passano almeno due anni tra l’inizio della realizzazione di una fabbrica e la produzione del primo semiconduttore. Per espandere la capacità di una fabbrica il tempo necessario è inferiore, ma non di molto. C’è il rischio concreto che la carenza di chip continui a rallentare la ripresa mondiale ancora per diverso tempo.