Lo Shopping District Citylife sotto la Torre Hadid - Fotogramma
I tre modernissimi grattacieli del quartiere milanese di CityLife, costruiti su quella che una volta era la fiera cittadina, hanno le pareti di vetro. Chi si ferma a guardarli può vedere qualcosa di quello che succede all’interno. In tempi normali la loro trasparenza svela all’esterno la dinamicità e la produttività delle aziende che li occupano. Non oggi però. Dentro le Tre Torri di Citylife da mesi non succede quasi nulla. Nei 44 piani della Torre Hadid, sede milanese di Generali, c’è spazio per oltre 2.200 dipendenti. In queste settimane solo qualche decina di persone striscia ogni giorno il badge: il 98% dei lavoratori della compagnia è in smart working permanente. A fianco, nella Torre Isozaki, si può vedere qualche luce accesa qua e là lungo i 209 metri del grattacielo che, per numero di piani, è il più alto d’Italia. È la sede italiana del gruppo assicurativo Allianz, ma solo il 10% dei 2.800 dipendenti che dovrebbero occuparlo attualmente raggiunge fisicamente l’ufficio. Gli altri lavorano da casa. La terza torre, quella disegnata da Libeskind, è stata completata solo a luglio. Il gigante della consulenza PwC traslocherà lì a ottobre i suoi dipendenti con base a Milano, circa 3.500 persone. Le scrivanie sono già arrivate, i lavoratori inizieranno a gruppi: per la partenza PwC prevede di utilizzare alternativamente tre piani alla settimana, con un’occupazione massima del 50% per ogni piano. Entreranno circa 300 persone a settimana.
CityLife sembra capace di sopravvivere allo spopolamento delle sue torri. Il progetto sviluppato proprio da Generali Real Estate ha tre parti: gli uffici, l’area residenziale di lusso, il centro commerciale. All’ora di pranzo di una giornata di sole di inizio settembre non si fatica a trovare posto in uno dei ventitré ristoranti della food court, ma i clienti ci sono. Tanti gruppi di ragazzi si godono gli ultimi giorni di vacanza prima della riapertura delle scuole. Molte famiglie in giro a fare shopping. Qualche turista. E i pochi lavoratori. Le grisaglie di chi non ha ceduto al lavoro smart sembrano quasi fuori posto, ora che sono diventate minoranza. Le decine di persone al lavoro sui loro laptop attaccati alle prese elettriche dei tavoli dell’area food del centro commerciale ricordano la bizzarria del tempo che stiamo vivendo. Parte del lavoro allontanato dai grattacieli svuotati a causa Covid–19 si è riversato appena sotto, perché non aveva altri posti dove andare. Meglio per i ristoratori e i negozi, che così contengono i danni da smart working. L’unico a cedere alla pandemia, a CityLife, è stato il ristorante firmato dallo chef plurisetellato Heinz Beck, che proponeva pranzi e cene di alto livello poco adatti agli studenti che ora popolano il quartiere. Questo “casual dining restaurant” sarà sostituito da un più popolare Wagamama.
Anche a piazza Gae Aulenti, nell’altro quartiere simbolo della nuova Milano del business, ragazzi e turisti hanno riempito il vuoto lasciato da dipendenti diventati smart worker intensivi. L’area sviluppata dall’immobiliare Coima davanti alla Stazione Garibaldi ha a fianco la Biblioteca degli Alberi, un parco curatissimo, un “giardino botanico contemporaneo” come lo definiscono senza esagerazioni i suoi ideatori. C’è molto da fare e da vedere, anche se non si lavora. Così il quartiere resta vivace nonostante l’assenza dei lavoratori di Uni-Credit. Normalmente nelle torri della banca lavorano 4mila persone, adesso le presenze sono ridotte al 25%. «Noi già dal 2014 offriamo la possibilità di lavorare in smart working. Con la pandemia questa è diventata una necessità» spiega Emanuele Recchia, responsabile delle Relazioni istituzionali, del Lavoro e del Welfare di UniCredit. I lavoratori della sede sono stati organizzati su una turnazione settimanale: ogni dipendente lavora fisicamente in ufficio una settimana su quattro. Gli spostamenti tra uno e l’altro dei 31 piani della torre, che con i suoi 231 metri è la più alta d’Italia, sono ridotti al minimo per evitare i contatti. I manager hanno una presenza più intensa, ma anche loro fanno smart working. Viene da chiedersi quanti torneranno davvero alla loro scrivania quando la pandemia sarà finita. Recchia non si sbilancia. «Questo nuovo modo di lavorare molto più remotizzato resterà anche in futuro. Non sarà una rivoluzione del modo di lavorare, ma un’evoluzione. Vorrà dire avere la possibilità, finita la pandemia, di una modalità molto più integrata tra working on site e lavoro da casa – continua Recchia –. In questi mesi abbiamo fatto del nostro meglio per stare vicino ai dipendenti, anche per aiutarli a mantenere un equilibrio psicofisico nel lavoro da remoto, che non è scontato. Nel farlo siamo partiti dall’ascolto: lo smart working è una delle forme ritenute più importanti per riuscire a conciliare esigenze personali e professionali e continueremo a impostare la strategia a partire da questo. Non è ipotizzabile una rivoluzione totale dove la gente sta sempre a casa».
È quello che sperano anche i ristoratori della zona. Nonostante il traffico di famiglie, ragazzi e turisti, il calo degli incassi da pausa pranzo si sente. In un business fragile come quello della ristorazione molti non possono resistere a lungo a una duratura e brusca contrazione del giro d’affari. Il mondo produttivo, e tutto ciò che gli ruota attorno, dovrà sapersi adeguare a una realtà cambiata una volta che la pandemia sarà finita. Come per un sistema immunitario sfidato dal virus, anche per le imprese la capacità di adattarsi al cambiamento sarà l’abilità fondamentale per la fase post–Covid.