«Poste Italiane? Sembra di stare sull’aereo più pazzo del mondo...». Da Londra, l’economista Carlo Scarpa non nasconde l’imbarazzo per l’ultima, decisiva novità filtrata a proposito del futuro dell’ex compagnia di bandiera. Nei giorni scorsi, aveva lanciato in Rete un appello dal titolo emblematico: «Salviamo Alitalia. Dalla politica». Adesso che il salvataggio è passato attraverso l’ennesima mediazione di governo, fatica a trattenersi. «Non vedo alcun progetto industriale, mi sembra davvero una follia...».
Perché?Innanzitutto, non ci sono sinergie tra i due business. Poste è di fatto una banca, un soggetto importante che fa soldi ormai grazie ai servizi finanziari e non alle attività postali. Non vorrei si usasse il denaro dei risparmiatori italiani per una manovra del genere. Mancavano collegamenti tra Alitalia e Ferrovie, figuriamoci ora...
Se è per questo si è parlato anche di Fintecna e Cassa depositi e prestiti. La domanda che ancora mi faccio è: perché dobbiamo entrarci? La Cdp per fortuna ha il vincolo di intervenire soltanto in operazioni che coinvolgano aziende
in bonis, non che stanno per fallire. Di certo, questa non era un’occasione per fare politica industriale, semmai per dimostrare che la politica sa tirarsi fuori dalle cose che non sa fare.
E i lavoratori a rischio?Questa è l’unica vera preoccupazione cui rispondere, ma anche l’occupazione si tutela favorendo la nascita e l’arrivo di gruppi industriali forti. Se gli azionisti privati di Alitalia avessero deciso di vendere
in toto ad Air France, sarebbe stato meglio per tutti.
Non c’è un interesse strategico dell’Italia?Ma quale? Il mondo non è più quello delle compagnie di bandiera. L’unico bene da salvaguardare in questa vicenda è rappresentato dagli
slot, dagli scali e dai diritti di atterraggio e di decollo. E invece siamo finiti nelle mani di Poste italiane...