Nessuno spazio a modifiche sui tagli nella manovra, aveva detto Berlusconi accettando l’incontro. Ed è stato di parola. Malgrado ciò, la torrida mattinata di ieri a Palazzo Chigi ha avuto un esito
double face, col governo che spacca così il fronte delle autonomie locali: «molto negativo» per le Regioni, che ora intendono restituire davvero le deleghe su una serie di servizi e avvisano che riferiranno al capo dello Stato, Giorgio Napolitano; «collaborativo» invece per Comuni e Province che, pur mantenendo il giudizio negativo sul maxi-decreto, hanno portato a casa l’impegno del governo a mandare in Parlamento entro il 31 luglio il decreto delegato sul federalismo municipale, che dovrà fissare l’autonomia loro concessa in tema di imposte (il decreto per le Province arriverà invece a settembre).Sono sembrati due film totalmente diversi quelli "girati" ieri nella sala stampa di Palazzo Chigi. Per primi sono scesi i rappresentanti delle Regioni, quasi al gran completo (mancavano però i leghisti Cota e Zaia, pur presenti all’incontro, mentre c’erano quelli del Pdl). I volti tirati, hanno riferito dell’impatto con un "muro", quello rappresentato dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, vero protagonista della riunione. Più di Silvio Berlusconi, che ha provato a fare una concessione temporale, di «3-4 giorni», per cercare una soluzione alternativa; ma è stato stoppato dal custode dei conti pubblici, il quale ha fatto notare che dare ai mercati «l’impressione che si riaprisse la manovra avrebbe potuto dare spazio da lunedì alla speculazione finanziaria», a danno dell’Italia. Discorso chiuso, quindi. L’unica concessione passata è l’assenso del governo (c’era pure Gianni Letta) a mettere in piedi in tempi rapidi una commissione mista «a costo zero» con le varie autonomie locali, per studiare insieme la spesa della pubblica amministrazione e dove si annidano i maggiori sprechi.No a raffica sono venuti invece sulla proposta di riequilibrare i tagli fra Stato centrale ed amministrazioni locali. Le Regioni sostengono che, anche sommando i tagli disposti dalla Finanziaria triennale del 2009, la bilancia è «totalmente squilibrata», come certificato anche da «Istat e Corte dei Conti». «Ci sembra che ci sia un’impuntatura che non fa bene al Paese – ha detto Vasco Errani, il presidente della Conferenza delle Regioni –. La scelta del conflitto istituzionale non è nostra. Siamo molto preoccupati: non si può parlare ogni giorno di federalismo, prendendo poi la strada opposta del pieno centralismo». Il fronte è compatto nell’affermare che ora, in Conferenza unificata, chiederà al governo di rimettere le deleghe: un passaggio per cui serve una legge, ma che secondo i governatori si può attuare anche con un emendamento alla manovra da martedì in aula, al Senato. Il governatore lombardo, Roberto Formigoni, ha sottolineato che «non è una ripicca, ma una presa d’atto». E per Nichi Vendola (Puglia) «a questo punto faranno il federalismo con il morto». Una minaccia che non spaventa Tremonti: «Vedrete che, a manovra chiusa, anche le Regioni torneranno al tavolo con noi». Anche perché, ha fatto notare Tremonti che si è presentato invece (e con lui Calderoli) al fianco di Sergio Chiamparino e Giuseppe Castiglione nella successiva conferenza stampa di Anci e Upi, sono le Regioni che «hanno preferito una discussione diversa», rispetto a quel «metodo di lavoro comune» accettato invece da Comuni e Province. Nel documento da essi sottoscritto ci sono pure, ha spiegato Chiamparino, «il pieno trasferimento ai Comuni delle funzioni del Catasto, l’attivazione di un tavolo per valutare entro ottobre il possibile sblocco dei residui passivi e per rimodulare il Patto di stabilità assorbendo i tagli ai trasferimenti».