«Nella vicenda Montepaschi la politica italiana ha sofferto di un difetto grave: il provincialismo». Le parole di Nicola Rossi sono un processo aperto nei confronti di una classe dirigente che «non ha saputo guardare lontano. Troppe timidezze, troppi giochi di potere» osserva a distanza l’ex consigliere economico di Massimo D’Alema, oggi nel
think tank Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo, che si è schierato con Mario Monti in vista delle elezioni. «Alla fine Mps ha pagato un prezzo altissimo alla propria storia» spiega Rossi.
In che senso?Le caratteristiche di un istituto di credito che si è sempre configurato come una banca a servizio del territorio si sono mal conciliate, col tempo, con le dimensioni di un mercato sempre più internazionale. Il punto è che i legami proprietari dovevano progressivamente allentarsi e invece è avvenuto esattamente il contrario. Il risultato? Nel momento in cui era necessario fare un salto di qualità, chi aveva il controllo della situazione ha finito per arroccarsi, creando un danno enorme a se stesso e alla banca.
Nel mirino c’è ancora una volta il Pd, che si è già difeso ai massimi livelli...Gli intrecci tra politica e finanza sono un problema che riguarda gli uni e gli altri e sarebbe sbagliato evocare complotti e dietrologie da scontro elettorale. I fatti, per quel che è emerso dalle cronache, appaiono molto gravi anche perché si parla della terza banca del Paese. Ma proprio perché il Montepaschi è sempre stato un istituto con caratteristiche particolari, ho l’impressione che a un certo punto la politica avrebbe dovuto comprendere in anticipo che questa visione proprietaria sarebbe stata un freno e un problema per il Monte stesso e per il territorio. È mancata una visione lungimirante.
Nel 2006 col caso Unipol/Bnl si accusò Fassino. Vede paralleli con la situazione di oggi?No. Non inseguo complotti e dietrologie e penso che la politica non sia il metro giusto per giudicare ogni cosa. Di certo, la presenza di un azionista diffuso non sempre fa l’interesse della collettività. È successo in Toscana, ma anche in Lombardia con le vicende della Sea e della Milano-Serravalle. Penso che sia indispensabile che gli enti locali tornino a fare gli enti locali: i sindaci sistemino le buche e le fogne, occupandosi dell’ordinaria amministrazione che poi è quella che interessa più da vicino i loro cittadini. Non devono giocare con la finanza.
Sta dicendo che il sistema delle aziende partecipate a livello locale non funziona?La situazione è disperata. Poi ci sono le eccezioni che confermano la regola. Ma non si possono risolvere i problemi di bilancio dei Comuni, con i bilanci delle partecipate.
È un problema di competenze o di potere?È un problema di gestione del potere, naturalmente, che va risolto rapidamente, perché ha un costo alto per i cittadini. Di più: la battaglia contro un uso improprio e scriteriato delle risorse pubbliche deve essere forte e incisiva come quella che il governo Monti ha combattuto per contrastare l’evasione fiscale. Serve la stessa determinazione nel perseguire i comportamenti che nuocciono pesantemente alle comunità.
Da dove partire, per evitare che casi del genere si ripetano?Occorre un programma vastissimo di dismissioni, che coinvolga attivamente gli enti locali in un processo ampio e pluriennale. Con le risorse che si libereranno, si potrà rispondere, ad esempio, ai problemi annosi di manutenzione del territorio. Dobbiamo saper cogliere questa occasione per affrontare una volta per tutte questo problema di fondo, altrimenti rischiamo che casi simili accadano ancora.