L'Italia ha resistito meglio alla crisi economica perchè la finanza non ha vinto sull'economia reale. Ma gli italiani "sono sempre gli stessi", siamo una società replicante che «vive in apnea». Assistiamo al ritorno degli interessi agiti "in presa diretta" e al tempo stesso alla «dura ristrutturazione del terziario e al silenzioso sfarinamento del lungo ciclo dell'individualismo». Il 43esimo Rapporto annuale del Censissulla situazione sociale del Paese, fotografa lo stato d'animo degli italiani ad un anno dall'inizio della crisi economica. Per l'istituto guidato da Giuseppe De Rita «quel "non saremo mai più come prima" che un anno fa dominava la psicologia collettiva sembra essersi mutato in un "siamo sempre gli stessi" che ci appiattisce alla contingenza, ma non ci deprime».
l vero volto dell'Italia 2009. Una società che cerca di resistere alla crisi economica. Come spiega il Censis , per il 71,5% delle famiglie italiane il reddito mensile è ancora sufficiente a coprire le spese. Il dato sale al 78,9% al Nord-Est, al 76,7% al Nord-Ovest, al 71% al Centro, mentre al Sud scende al 63,5%. Il 28,5% delle famiglie che hanno avuto difficoltà a coprire le spese mensili con il proprio reddito ha fatto ricorso a una pluralità di fonti alternative, con una miscela che si è dimostrata efficace. Quali cambiamenti sono stati introdotti? Il 40% ha contenuto gli sprechi, il 39,7% ha cercato prezzi più convenienti, il 34,8% ha eliminato dal paniere i prodotti che costano troppo. Certo, la crisi ha prodotto i suoi effetti, soprattutto sul fronte dell'
occupazione, con 378.000 posti di lavoro in meno nel primo semestre 2009 (di cui però ben 271.000 al Sud) rispetto allo stesso periodo del 2008. Meglio di Spagna e Gran Bretagna, ma peggio di Francia e Germania. Ma non è tanto il dato quantitativo a preoccupare quanto il fatto che gli effetti negativi hanno riguardato solo i soggetti meno tutelati: il lavoro autonomo (a giugno 277 mila occupati in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, -5,8%) e l’ampio bacino del «paralavoro» (162 mila posti in meno, -4,3%). Ad essere colpite maggiormente sono state le diverse forme di lavoro a termine (-229 mila lavoratori, -9,4%), le collaborazioni a progetto (-12,1%) e quelle occasionali (-19,9%), mentre il popolo delle partite Iva è aumentato, a causa della sostituzione dei contratti flessibili con formule ancora più esternalizzate e a basso costo, raggiungendo quasi quota un milione (+132 mila, +16,3%). Il lavoro tradizionale, dipendente e a tempo indeterminato, ha invece continuato a crescere, registrando nel periodo 2008-2009 un +0,4% (oltre 60 mila posti in più). Quella del 2009, spiega il Censis, è una
crisi fortemente differenziata. Tra gennaio e settembre si registra la riduzione di quasi l’1% delle imprese manifatturiere (oltre 30.000 in meno), ma è il commercio al dettaglio il settore più colpito, con più di 50.000 aziende che hanno chiuso i battenti. L’intero settore terziario è entrato in una fase di profonda riorganizzazione, con un saldo fortemente negativo tra iscrizioni e cancellazioni di imprese: -10,1 di imprese per 1.000 imprese attive nei primi 9 mesi dell’anno (vale a dire 162.000 imprese che hanno chiuso i battenti). Il Censis individua con chiarezza quali sono
i punti deboli del nostro Paese. Innanzitutto quella che chiama «la forza perduta dell'istruzione». Circa l’80% dei giovani tra 15 e 18 anni si chiede che senso abbia stare a scuola o frequentare corsi di formazione professionale. Dominano il disincanto e lo scetticismo: il 92,6% dei giovani in uscita dalla scuola superiore ritiene che anche per chi ha un titolo di studio elevato il lavoro sia oggi sottopagato, il 91,6% pensa che sia agevolato solo chi può avvalersi delle conoscenze. Inoltre il 63,9% degli occupati giudica inutili le cose studiate a scuola per il proprio lavoro. La visione pessimistica travalica i confini dell’universo educativo: il 75% dei laureati e l’85% dei non laureati di 16-35 anni pensano che in Italia vi siano scarse possibilità di trovare lavoro solo grazie alla propria preparazione. Altro punto debole è il perdurare del fenomeno dell'evasione fiscale che comporta sì una ricchezza occulta che permette a molti di resistere, ma sul fronte pubblico genera un'assenza di risorse da dedicare agli investimenti e un conseguente progressivo indebolirsi dello stato di conservazione dei beni pubblici. Altro tallone d'achille è il cosiddetto
digital divide. L'uso di Internet, che secondo il Censis è un potente mezzo di modernizzazione, fa segnare infatti nel nostro Paese una spaccatura profonda tra giovani e vecchi. Se il web infatti è usato dal 48,7% degli italiani, di questi l'84,2% sono giovani, mentre solo il 12,2% sono anziani. Anche il sistema giustizia, sempre secondo il Censis, continua a rappresentare per il Paese un pesante ostacolo alla crescita e alla modernizzazione.
Le priorità. Riguardo al futuro, da un’indagine su un campione di famiglie del ceto medio realizzata sempre dal Censis nel novembre 2009, emergono indicazioni su quali siano i soggetti che devono essere aiutati per favorire la ripresa. Le famiglie con figli (49,7%) e i giovani (48,8%), e poi gli anziani (21,8%), dovrebbero essere nel sociale i destinatari della quota più alta di risorse, visto che sono stati i più penalizzati dalla crisi.
La famiglia. Tre famiglie italiane su dieci stentano ad arrivare a fine mese, e fanno ricorso a fonti alternative per integrare il reddito. «Il 28,5% delle famiglie che hanno avuto difficoltà a coprire le spese mensili con il proprio reddito ha fatto ricorso a una pluralità di fonti alternative, con una miscela che si è dimostrata efficace». Il 41% ha toccato i risparmi accumulati, in oltre un quarto delle famiglie uno o più membri hanno svolto qualche lavoretto saltuario per integrare il reddito, più del 22% ha utilizzato la carta di credito per rinviare i pagamenti al mese successivo, il 10,5% si è fatto prestare soldi da familiari, parenti o amici, l'8,9% ha fatto ricorso ai prestiti di istituti finanziari e il 5,1% ha acquistato presso commercianti che fanno credito.Per il 71,5% delle famiglie italiane, invece, il reddito mensile è sufficiente a coprire le spese: un dato che sale al 78,9% al Nord-Est, al 76,7% al Nord-Ovest, al 71% al Centro, mentre al Sud scende al 63,5%.