I giornali tornano a occuparsi di contadini: proteste nelle piazze, sfilate di trattori per le strade. Io sono, e mi sentirò sempre, figlio di contadini. Se la borghesia è il Terzo Stato, e gli operai sono il Quarto Stato, allora i contadini sono il Quinto Stato, e con un’opera intitolata “Il Quinto Stato” io ho cominciato la mia attività di scrittore: volevo descrivere le condizioni di vita dei contadini veneti.
Credevo con ciò di parlare ai veneti, non sapevo di parlare a un pubblico più vasto e importante, e cioè agli argentini. Sono rimasto sbalordito quando l’Istituto di Cultura di Buenos Aires mi ha invitato là e là ho trovato migliaia di ascoltatori, che poi mi portavano in giro per le scuole, e appena entravo in una scuola si alzava la bandiera italiana, partiva l’inno nazionale italiano, e tutti i ragazzi lo cantavano, dritti sull’attenti, con la mano sul cuore. Non me l’aspettavo. Per gli argentini, uno scrittore italiano è un inviato dalla grande patria lontana, gloriosa e perduta.
Mi rivolgo ai governanti italiani: ma se è così, coltivate questo rapporto, stringete questa relazione, intensificate i viaggi degli scrittori italiani, cosa vi costa? Gli emigrati italiani sono andati via quando qui fare i contadini costava fatica e rendeva poco, ora vedo i contadini sfilare in segno di protesta e mi chiedo: è ancora così? Non è cambiato niente, nascere, vivere e lavorare in campagna è una maledizione eterna? Che cos’ha la campagna di punitivo e di faticoso? Qual è il vero problema che blocca e rallenta lo sviluppo delle campagne? Da figlio dei campi, dico: le scuole, che sono poche e lontane.
Studiare in campagna è faticoso. Obiezione: « Ma lei non ha potuto laurearsi?». Sì, ma pagavo tre quello che gli studenti di città pagavano uno. Fare un esame venendo dalla campagna comportava una faticaccia supplementare. Perché io dovevo mettermi la sveglia alle 6, lavarmi con l’acqua fredda, far colazione a bruciapelo, andare in stazione in bicicletta, prendere il treno per Monselice, a Monselice cambiare treno e prenderne uno per Padova, scendere alla stazione di Padova e prendere l’autobus per la facoltà, alla facoltà fiondarmi nell’aula degli esami e mettermi in lista, nella lista c’eran già 40-45 nomi segnati, ed eran tutti nomi di studenti che abitavano lì a pochi metri e s’erano appena alzati da letto.
Pensavo allora e penso ancora: il voto che danno all’esame agli studenti di campagna sarebbe giusto che fosse moltiplicato per due. Questi contadini che protestano sui trattori non protestano solo per sé, ma anche per i figli. In città dicono “per la loro classe sociale”. Loro dicono “per la nostra razza”. Le campagne avranno anche un problema economico, di prodotti da smerciare, ma il primo problema è culturale, la scuola, le scuole, che sono poche e sono scomode.