E' arrivato alla guida della Fim Cisl, il sindacato dei metalmeccanici, in un momento di passaggio, quello in cui bisognerà progettare la ripartenza del sistema manifatturiero italiano. Roberto Benaglia, 59 anni, bergamasco, ha raccolto il testimone da Marco Bentivogli, dimessosi a giugno, ed è intenzionato a far sentire la voce del sindacato a Palazzo Chigi. Chiede al governo un salto in avanti, una progettualità a medio termine, per evitare che un autunno caratterizzato da crisi e chiusure aziendali.
Il decreto Rilancio, da due giorni diventato legge, prevede altre quattro settimane di cassa integrazione e la proroga dei contratti a termine, sono misure sufficienti?
Sono misure utili e indispensabili perché ci troviamo di fronte ad una produzione industriale asfittica, bisogna sostenere le aziende e il reddito dei lavoratori, ma è ovvio che non basta una logica del rinvio all’infinito. Gli ammortizzatori sociali e il blocco dei licenziamenti servono per prendere tempo ed elaborare un piano di rilancio per l’attività manifatturiera.
La proposta di Confindustria Lombardia di una maggiore flessibilità nei contratti potrebbe servire a 'sostenere' il mercato del lavoro?
È un tema molto delicato che richiede un dialogo costruttivo con le parti sociali. Dobbiamo adattarci a questa epoca senza le rigidità previste dal decreto dignità, che era nato in uno scenario diverso. Adesso ci sono 300mila lavoratori a termine che sono stati lasciati a casa. L’idea potrebbe essere quella di restituire le causali alla contrattazione. La riflessione che faccio io, da sindacalista, è che una buona legge sulla carta rischia di avere effetti controproducenti aumentano la distanza tra i lavoratori di serie A, che sono contrattualizzati e hanno gli ammortizzatori sociali, e quelli di serie B, soprattutto giovani, che vengono espulsi dal mercato del lavoro in quanto precari.
Quali sono le richieste che il sindacato fa al governo?
Non voglio essere critico ma ci troviamo in una fase di passaggio dalla fase uno di sostegno al Paese colpito dalla pandemia, alla fase di moderniz-È zazione del Paese. In autunno rischiamo una pandemia sociale, non solo per la fine del blocco dei licenziamenti ma per il rischio che le aziende annullino gli investimenti. Non è per decreto che si salva l’economia ma con gli investimenti. A settembre bisogna far ripartire la produzione, investire su modernizzazione, digitalizzione e formazione.
Tra le crisi più spinose spicca quella dell’Ilva: il ministro Patuanelli ipotizza una transizione verde grazie agli aiuti Ue, è una strada percorribile?
Sull’Ilva leggiamo molte proposte. Il problema è che accanto alle difficoltà legate al piano ArcelorMittal c’è la caduta del 40% della domanda di acciaio. L’idea di una decarbonizzazione e di una riconversione green totale puntando sull’idrogeno può essere una strada percorribile ma nel lunghissimo periodo. Nel frattempo l’Ilva rischia di non esserci più. L’Italia non può uscire dal mercato dell’acciaio, bisogna combinare la questione ambientale con l’aspetto gestionale. Il governo deve dire se intende sostenere ArtcelorMittal o tornare alla gestione straordinaria dei commissari. Nel frattempo c’è una forte preoccupazione per la manutenzione degli impianti, ma quelli a caldo non si possono fermare.
Quali proposte per il settore delle auto, anche questo particolarmente in crisi?
Serve un sostegno deciso a tutta la filiera. Durante il lockdown si sono accumulati gli invenduti, al tempo stesso l’Italia ha il parco auto più vecchio in Europa. Occorre favorire il passaggio verso modelli più ecologici con un piano su misura. La Francia lo ha fatto. Non si può abbandonare un settore che vale il 7% del Pil e dà lavoro a 400mila persone. Bisogna intervenire perché senza l’automotive la manifattura e le esportazioni vanno a picco.
Una delle prime sfide sarà il rinnovo del contratto nazionale, è ancora indispensabile in un’epoca in cui si parla di salario minimo?
La contrattazione deve cambiare ma non deve diminuire. Deve entrare nel merito della rivoluzione in corso in termini di lavoro agile, conciliazione e sicurezza. Non è il momento di rinviare le trattative ma anzi di rafforzarle: di prevedere aumenti salariali e di welfare. I metalmeccanici sono oltre due milioni, sono lontani anni luce dal concetto di 'tuta blu' che lavora alla catena di montaggio, ci sono nuove professionalità e nuove esigenze. La Fim-Cisl è favorevole all’integrazione con la contrattazione decentrata. Sarebbe grave che il governo portasse avanti l’introduzione del salario minimo e della rappresentanza 'per legge', indebolendo la contrattazione.