La crisi e la scomparsa dei forti utili e dividendi cui aveva abituato il mercato e i soci hanno fatto deflagare le tensioni esistenti da anni nell'azionariato contro l'ad di Unicredit Alessandro Profumo e che il manager aveva sempre sopito con una gestione brillante che gli concedeva così ampi margini di manovra. La redditività resta la principale sfida del suo successore e lo stesso Profumo di recente ha detto che il gruppo deve realizzare almeno 6 miliardi di utile l'anno per ripagare i soci. Il gruppo bancario, nonostante abbia evitato la nazionalizzazione e le maxi perdite delle rivali britanniche e tedesche, ha infatti visto l'utile scendere dai quasi 6 miliardi del 2007 a quota 4 del 2008 dimezzandosi a 1,7 nel 2009 e calando del 39% nel secondo semestre dell'anno.Una parabola discendente che ha portato il dividendo, "linfa vitale" per le fondazioni azioniste che finanziano così ospedali, università e opere sociali, a ridursi a un terzo nel 2008 per di più assegnato quasi esclusivamente sotto forma di azioni che intanto perdevano valore. Se la media delle quotazioni nel 2007 era infatti a 6,5 nel 2007, nel 2008 era precipitato a 1,9 con un minimo di 0,634 euro. Effetti della crisi finanziaria, certo, ma anche alcune operazioni che, con il senno di poi, si sono rivelate troppo onerose o sbagliate nella tempistica. La tedesca Hvb infatti, se ha permesso a Unicredit il grande balzo come gruppo internazionale, si è infatti rilevata gonfia di strumenti finanziari speculativi che hanno generato notevoli perdite sul conto economico mentre altre svalutazioni sono arrivate dalla controllata in Kazakhistan e Ucraina, operazioni fortemente volute dall'ad e che avevano generato perplessità sui prezzi pagati.La debolezza dei conti economici e l'erosione del patrimonio ha indotto così il gruppo, nonostante le iniziali smentite, a varare l'aumento di capitale lampo nell'ottobre 2008 per i grandi soci, operazione che lo stesso Profumo ammise che avrebbe dovuto varare «all'inizio dell'anno», ma che segnò l'ingresso dei libici con poco più del 4%. L'impegno delle fondazioni (tranne Cariverona che si smarcò all'ultimo) che sottoscrissero sacrificando risorse finanziarie sempre più limitate, riaccese i contrasti fra azionariato italiano e management con i soci nazionali che chiesero maggior peso, attenzione al territorio e una maggiore collegialità. Le fondazioni misero di nuovo mano al portafoglio nel settembre 2009 con l'aumento da 4 miliardi ma a quel punto le frizioni iniziarono a farsi più frequenti e palesi anche sotto il continuo pressing della Lega che reclamava più spazio negli enti dopo aver vinto le tornate elettorali. Il piano della Banca Unica, prima rimandato e poi approvato con qualche distinguo, la vicenda As Roma e l'appoggio alla candidatura di Roma alle Olimpiadi invece che Venezia sono tutte altre fonti di contrasto cui si sono aggiunti il rafforzamento di Abu Dhabi (auspicato da Profumo) e dei libici per il quale l'ad si è sempre difeso dicendo di non averlo sollecitato. Nodi che Profumo non ha potuto sciogliere ricorrendo al suo argomento più forte di manager indipendente e fuori dalle logiche di potere: i risultati brillanti conseguiti in bilancio. E nodi che ora restano sul tavolo del suo successore il quale dovrà coniugare l'attenzione al territorio, una governance condivisa con i grandi soci, un piano di esuberi e risultati da grande banca internazionale.