L'Italia, oltre che sul lavoro, si potrebbe dire che è un Paese fondato sulle… strade e sulla gomma. La Penisola è, infatti, attraversata in lungo e in largo da migliaia e migliaia di chilometri di arterie d’asfalto, su cui ogni giorno viaggiano migliaia e migliaia di mezzi a due e quattro (e più ruote), carichi di persone e merci. Al trasporto di queste ultime provvede una figura specifica: l’autotrasportatore. Secondo l’indagine Excelsior, realizzata da Unioncamere e ministero del Lavoro, nel 2010 le imprese italiane prevedono di assumere 7.460 persone alle voci "autotrasportatore e autisti di camion", ovvero il 23,9% delle assunzioni programmate nel comparto "servizi di trasporto, logistica e magazzinaggio".Nel linguaggio comune, più che di autotrasportatori si parla, appunto, di autisti di camion o camionisti, un termine che forse piace poco agli operatori del settore, perché associato a un’immagine spesso caricaturale: quella dell’omaccione un po’ ruspante, che si porta in giro, a volte senza troppo curarsi dei limiti di velocità, un "bestione" di svariate tonnellate. Intendiamoci, qualcosa di vero c’è, ma anche questa professione sta cambiando e si sta sempre più qualificando. «In Europa – spiega
Marco Digioia, segretario di Confartigianato Trasporti – quasi l’80% delle merci si muove su gomma e in Italia questo valore è ancora più alto. Nonostante la crisi, il settore è veramente trainante e costituisce una delle spine dorsali della nostra economia. L’attività poi si sta sempre più specializzando e qualificando. Oggi per fare questo mestiere non basta saper guidare un mezzo pesante, ma bisogna avere una formazione e una preparazione a tutto tondo. La vera sfida del presente e del futuro è quella della qualità».Il mondo dell’autotrasporto è uno dei più regolamentati. L’accesso alla professione (come aprire un’impresa o diventare autotrasportatore) è disciplinato a livello europeo, con una normativa stringente, mentre la possibilità di operare sul mercato è definita dalla legislazione nazionale. Molto precisa è anche la regolazione degli orari e dei turni di riposo. Tutto ciò rende indispensabile una forte attenzione agli aspetti formativi. Oltre alla patente (la B, la C, la CE, la D… a seconda del peso e del tipo di mezzo da condurre), l’autotrasportatore deve possedere la cosiddetta "Carta di qualificazione del conducente" (Cqc), che si ottiene frequentando un corso specifico con esame finale presso la Motorizzazione civile, e che va rinnovata ogni cinque anni. «La formazione – osserva
Giuseppina Della Pepa, segretario generale di Anita, l’associazione legata a Confindustria – è fondamentale per lo sviluppo del settore. Le imprese cercano personale sempre più qualificato e noi lavoriamo molto su questi aspetti. La formazione deve essere vista come un investimento e non come un aggravio di costi e può spaziare in diversi ambiti: dalle norme sul codice della strada a quelle sulla sicurezza, da come ridurre i consumi a come alimentarsi correttamente, fino alle regole comportamentali: in fondo l’autista è il biglietto da visita di un’azienda».I moduli sono organizzati a vari livelli: dalle autoscuole, dalle associazioni imprenditoriali, dalle stesse imprese. Il mondo degli autotrasportatori si divide, sostanzialmente, in due parti, tra chi opera come lavoratore autonomo (il classico "padroncino", autista e imprenditore insieme) e chi è invece dipendente. «Oggi – evidenzia
Paolo Uggè, presidente di Fai Conftrasporto – è complicato mettersi in proprio, perché mancano le condizioni di mercato. Invece è possibile trovare un impiego come lavoratori dipendenti. Le imprese fanno ancora un po’ fatica a reclutare personale italiano. Attualmente gli stranieri superano il 30% degli organici. Il problema di questo mestiere è che obbliga spesso a stare lontano da casa e dalla famiglia, ed è abbastanza pesante, tanto che si sta dibattendo di inserirlo tra le attività usuranti. In compenso offre la possibilità di girare il mondo, fare nuovi incontri e nuove esperienze. E lo stipendio è generalmente interessante». Il contratto nazionale di lavoro di riferimento è quello logistica, trasporto merci e spedizioni. Il salario base non è altissimo, ma a gonfiare la busta paga sono le indennità, come quella per la trasferta. Secondo una stima di Fai Conftrasporto, un lavoratore dipendente può guadagnare dai 2.300-2.500 ai 4.000-4.500 euro al mese.Al 3 dicembre 2009 all’Albo degli autotrasportatori risultavano iscritte 163.714 imprese, 113.285 delle quali con veicoli, 50.429 no. Nella gran parte dei casi si tratta di aziende di piccole dimensioni (il 45% di quelle con veicoli ne ha solo uno, il 38% fino a 5) che devono competere in un mercato complesso. Circa l’80% non ha più di due addetti. Nel complesso il parco-mezzi raggiunge quota 461.517. Uno dei problemi è la concorrenza straniera. «Attualmente – sottolinea
Gianni Montali, responsabile nazionale di Cna Fita – abbiamo troppe aziende rispetto alla domanda di trasporto. Questo a causa di scelte sbagliate fatte negli anni ’90, che hanno rotto l’equilibrio della filiera. Il mercato è stato liberalizzato troppo e poi ci si è messa la crisi, che non è ancora passata. Le nostre imprese sentono la concorrenza sleale di quelle estere, che hanno costi, a cominciare da quello del lavoro, nettamente inferiori. E poi qualcuno dovrebbe spiegarmi come fanno a essere iscritte all’Albo 50mila società che non hanno veicoli: servono più controlli sul fenomeno della subvezione».Le imprese che sono iscritte all’Albo pur non possedendo veicoli vengono definite "fantasma". Molte, fra di esse, operano sul mercato "subappaltando" (da qui il termine subvezione, con vezione che sta per trasporto) i contratti stipulati ad altre aziende, che invece i veicoli li hanno.