Il gender gap in Italia è ancora ampio: poco le donne ai vertici delle aziende
Sono appena il 16,1% del totale le piccole e medie imprese guidate da una donna nel nostro Paese. La percentuale sale leggermente considerando le figure dirigenziali in generale, e statisticamente la presenza femminile è più significativa nelle aziende di maggiori dimensioni. È questo il risultato del Market Watch PMI di Banca Ifis, studio ottenuto attraverso un sondaggio che ha coinvolto oltre 600 imprese italiane e realizzata tra gennaio e febbraio dall’Ufficio Studi di Ifis in collaborazione con Format Research. Non è un caso che la ricerca sia stata condotta da una realtà in controtendenza: all’interno di Banca Ifis infatti il 54% degli oltre 1.700 dipendenti sono donne: una percentuale superiore alla media del settore, soprattutto per i piccoli istituti di credito, dove le donne rappresentano poco più del 40% (dati Fabi). Banca Ifis si distingue inoltre per la presenza di donne tra il top management, pari al 50%, alcune delle quali con responsabilità apicali. Un caso virtuoso se si considera che, in media, nel settore bancario in Italia solo il 20% delle donne arriva a ricoprire ruoli di vertice. In tema di parità di genere invece il risultato della ricerca è uno scenario che conferma la difficoltà femminile a emergere nel mondo del lavoro, seppure con sfumature diverse. Ad esempio, la percentuale delle PMI guidate da donne cresce fino al 21% nelle aziende che hanno tra 20 e 49 addetti, e ben in un caso su tre le imprenditrici sono anche coloro che hanno dato vita all’azienda stessa. Interessante notare che se per quanto riguarda la dirigenza complessivamente solo in un caso su cinque la posizione è ricoperta da una figura femminile, quando non guidano l’impresa le donne all’interno della stessa svolgono attività di rilievo quasi pari a quelle degli uomini nei ruoli impiegatizi. Le operaie invece sono il 22% del totale, mentre tra i quadri solo il 14% è donna. I settori dove più frequentemente le si incontrano con mansioni di comando sono la manifattura, le costruzioni e la moda. A questo proposito è tuttavia significativo il fatto che quando a capo dell’azienda vi sia un’imprenditrice, la percentuale delle dirigenti donne cresce, e di molto. In questo caso in un’impresa su due, contro una su sei quando invece è un uomo a guidare l’azienda. Ma, più in generale, ciò è vero per tutti i ruoli: se l’azienda è di un’imprenditrice, l’occupazione femminile è più alta rispetto al totale del campione.
Anche le prospettive non sono incoraggianti. Rispetto a cinque anni fa, solamente in un caso su dieci è aumentato il numero di dirigenti donna, e guardando al futuro non sembra che le cose andranno meglio: solo il 6% del totale ritiene che possa accadere. Tali percentuali, però, raddoppiano quando si tratta di aziende di medie dimensioni, con un numero di addetti superiore a 50, dove è più marcata la fiducia per un sovvertimento della tendenza. Infine, le politiche a sostegno dell’equità di genere sembrano non aver ancora cambiato il dna delle piccole e medie imprese italiane: solo il 15% prevedono interventi di qualche tipo e, in questi casi, lo strumento preferito è l’attività di formazione aziendale effettuata affiancando lavoratori più esperti a quelli appena assunti, che coinvolge due imprese su tre. Il 68% delle imprese ha comunque attivato strategie per cercare un equilibrio che favorisca l’inserimento femminile, con punte del 76% nel Nord-Est. La politica più utilizzata prevede la concessione di flessibilità di orario, seguono il sostegno alla maternità e l’utilizzo dello smart working anche non legato alle attuali condizioni di emergenza.