C'è un progetto per portare Gioia Tauro in Italia, ma manca lo Stato: «Noi possiamo creare un porto che non si limiti a trasbordare i container da una nave all’altra e la Calabria può fare una legge, ma a Roma chi si assume la responsabilità di decidere?». Ruvidezza teutonica della presidente di Contship, l’italianissima Cecilia Battistello, maritata Eckelmann. Lui, Thomas, guida la Eurokai, cinque generazioni di terminalisti: quando i bersaglieri entravano a Porta Pia gli Eckelmann già controllavano i traffici sull’Elba. È l’unico tedesco ad aver investito centinaia di milioni nella portualità italiana e noi l’abbiamo nominato commendatore. Lei, la "signora dello shipping" in questi giorni ha riunito sulla costa tirrenica i maggiori operatori della logistica e ha annunciato che costituirà una task force per promuovere una Zona economica speciale (Zes) a Gioia Tauro. L’obiettivo è aprire un tavolo con Palazzo Chigi.Il secondo tempo dello scalo calabrese, dopo decenni buttati nel sogno siderurgico e un accordo di programma che ha portato a creare il secondo porto di trasbordo del Mediterraneo, inizierà, ha detto Domenico Bagalà, amministratore delegato della Mct (la maggiore concessionaria, controllata da Contship, Maersk e Msc) «solo quando si potrà sviluppare un’area portuale, ma anche industriale e logistica, collegata alla ferrovia, come avviene in tutti i grandi porti del mondo». Il Consiglio regionale ha approvato la legge sulla Zes, che il Parlamento dovrà ratificare e il governo notificare a Bruxelles. Prevede generose esenzioni tributarie a chi investirà veramente: intorno all’area portuale i capannoni vuoti, anche loro figli dell’accordo del ’94, non si contano. Il presidente dell’autorità portuale Giovanni Grimaldi ammette che la prima zona franca è fallita e mette il dito nella piaga: «In Calabria l’Anas sta mantenendo gli impegni, mentre le ferrovie sono completamente assenti». L’isolamento ferroviario del porto è scientifico. L’ultima gara per costruire il gateway è andata deserta. Intanto, 2,72 milioni di teu (unità di misura del traffico container,
ndr) vanno e vengono sulle banchine. Bagalà, nato in questa cittadina di case mai finite e strade dissestate, dove il transhipment dà da mangiare a tremila famiglie e genera l’illusione di un lavoro eterno, invoca il ferrobonus: «Fino al 2006 mettevamo su rotaia centomila teu e ripristinarlo gioverebbe a tutti». Compresi Genova e Trieste che temono una concorrenza nel traffico domestico, per di più a partita aperta: i tre maggiori armatori – Maersk, Msc e Cma-Cgm – hanno appena stretto un patto che ridisegnerà gli equilibri del Mediterraneo, dove i cinesi controllano il Pireo. La pressione a investire nella portualità e nella logistica è il segnale che stiamo uscendo dalla crisi. Il traffico aumenta (+4% previsto e Suez è tornato a muoversi dopo 13 mesi) e si concentra (il 63,1% è in mano a dieci gruppi), le navi sono giganti (la Marco Polo della Cma-Cgm con i suoi 396 metri supera la Torre Eiffel) ed esigono banchine profonde e lunghissime, come quelle di Gioia Tauro. Lo scalo ha ridotto le perdite – da 13,6 a 2,3 milioni, nel bilancio Mct – grazie alla primavera araba che ha indebolito la portualità africana, ma lo shipping è in movimento e se non si diventa forti hub regionali si finisce tra i feeder, che alimentano il traffico dei porti più grandi. È successo vent’anni fa alla East Cost. Ecco perché, oltre a difendere la liberalizzazione delle tasse di ancoraggio e delle accise, Contship scommette sul transhipment "industriale": attirare imprese per lavorare e distribuire una parte di quel che arriva nei container. Il problema è la politica. Quella calabrese si è schierata. «La free zone è una carta vincente» per l’eurodeputato Pino Arlacchi e il presidente della Regione Giuseppe Scopelliti è ottimista: «Le larghe intese possono aiutarci, i parlamentari calabresi facciano quadrato perchè il governo adotti il progetto». Alla convention, però, quella del governo era l’unica sedia vuota.