sabato 3 agosto 2024
Sei nuovi focolai tra Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Mobilitato l’esercito e via a un piano per evitare la diffusione ulteriore della malattia. La delusione degli allevatori
Una manifestazione di agricoltori preoccupati per la proliferazione della peste suina

Una manifestazione di agricoltori preoccupati per la proliferazione della peste suina - -

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Se ne è parlato anche durante la missione della premier Meloni a Pechino. Del resto, la Cina è un grande importatore di carne suina e applica un divieto assoluto all’ingresso di materiale infetto. Le notizie provenienti dagli allevamenti del Nord Italia, colpiti dall’epidemia di peste suina africana (Psa) a fine luglio, avranno ripercussioni pesanti sull’export. Non solo sulla carne che proviene dalle regioni “infette” (i sei nuovi focolai sono stati scoperti in Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna lo scorso 26 luglio e sono già iniziati gli abbattimenti degli animali, come prevedono le norme) così come le contromisure non si limiteranno a quelle aree.

Dal ministero della Salute sono in arrivo «misure straordinarie» per «scongiurare l'ulteriore diffusione della malattia». Lo afferma una nota di aggiornamento del direttore generale Giovanni Filippini, indirizzata agli Assessorati alla Sanità Servizi Veterinari ed al Coordinamento regionale dei Servizi veterinari regionali, nella quale si parla di «rinforzare il sistema dei controlli», specificando che il governo intende «adottare misure di contrasto uniformi sul territorio».

Il contrasto alla Psa è iniziato da tempo (nel Dl Agricoltura sono stati stanziati 20 milioni di euro, e prima ne erano stati stanziati 50) e si concentra sui cinghiali, principali vettori del contagio. L’unico modo per fermare la malattia è abbattere le mandrie degli allevamenti, ma per evitare il primo contagio bisogna segregare le popolazioni di cinghiali con reti di protezione e piani di abbattimento.

L’hanno chiesto per mesi gli agricoltori, che sono danneggiati anche dalle scorrerie della fauna selvatica nei campi, ma le Regioni hanno fatto orecchie da mercante, perché gli abbattimenti costano. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il made in Italy in quarantena. Mentre si mobilita (timidamente) l’esercito, «si persevera in una politica ideologica che ha fatto sottovalutare la pericolosità della proliferazione dei cinghiali: abbiamo movimentato 50mila agricoltori per stimolare le regioni che finora hanno emanato pseudo ordinanze che non risolvono nulla» commenta Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia e responsabile delle politiche comunitarie di Coldiretti.

Il governo fa sapere che ha mobilitato 177 militari muniti di visori notturni (ma i cinghiali sono 2,3 milioni), ma la situazione pare fuori controllo. Il primo focolaio di Psa si è verificato nel Comune di Trecate (Novara); poi è stata la volta di Besate, in provincia di Milano; quindi Mortara, provincia di Pavia e Gambolò; ancora il milanese con Vernate; il sesto focolaio, il 30 luglio, si è infine verificato in Emilia-Romagna, a Ponte dell'Olio, in provincia di Piacenza. «La Psa è apparsa in Italia due anni fa e non si è fatto nulla, come hanno verificato gli inviati della Commissione europea in luglio – commenta Giovanna Parmigiani, presidente della sezione allevatori di Confagricoltura Piacenza – perciò tra poche ore abbatteranno ventimila capi, li caricheranno sui camion e li porteranno ai termovalorizzatori…».

C’è tanta amarezza nel mondo zootecnico. «Veniamo indennizzati, certo, ma non a valori di mercato. Forse i suini grassi sono indennizzati a valori accettabili ma con gli allevamenti di scrofe il calcolo è più complesso; la valorizzazione dei riproduttori e dei maiali appena nati è difficile. Inoltre, non viene risarcito il mancato reddito e i premi qualità. I nostri colleghi di Pavia colpiti un anno fa non sono ancora stati autorizzati a riprendere l’attività. Se uno vive di quello…».

Dura anche la posizione della Cia-Agricoltori Italiani, preoccupata per il futuro di un settore che genera oltre 13 miliardi tra produzione e trasformazione industriale: «Con oltre due milioni di cinghiali liberi su tutto il territorio nazionale e operazioni di contenimento che procedono a rilento, non ci può essere freno alla peste suina africana. Lo scenario si è complicato, vista l'eccessiva presenza dei cinghiali soprattutto nelle zone coinvolte, ora chiediamo celerità nelle risposte».

Infine Scordamaglia: «Abbiamo chiesto a Pechino, durante la visita del premier Meloni, di riconoscere due principi cardini, la regionalizzazione e i trattamenti inattivanti». Pressioni politiche per aiutare l’export italiano: il primo principio prevede che se si effettuano misure di contenimento rigorose si può creare un cordone sanitario all’interno del paese colpiti; il secondo che se cuoci la carne o la stagioni puoi inattivare il virus. Ma la Cina vieta comunque l’importazione della carne suina proveniente da Paesi colpiti dalla Psa, mentre gli Usa, a tali condizioni, la consentono.

Negli allevamenti, l’arrivo del contagio significa chiusura: abbattimento di tutti i capi, a centinaia, come prevede la legge. È quanto è successo negli ultimi casi registrati, con una serie di conseguenze. Il ministero della Salute, come dice la nota citata, «ha immediatamente informato la Commissione Europea e gli Stati Membri ed ha convocato l'Unità Centrale di Crisi per mercoledì 31 luglio». La politica non è molto informata sul tema.

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