C'era una volta la pensione d’anzianità. Lo strumento della pensione anticipata, che tanto ha contribuito negli anni passati ad appesantire i conti della previdenza, sta diventando sempre più desueto. È crollato, infatti, il numero delle persone che lasciano il lavoro in anticipo, prima dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. I dati anticipati ieri dall’Inps all’agenzia
Ansa dicono che, nei primi 11 mesi dell’anno, le nuove pensioni d’anzianità sono state 91.925. Ovvero il 53% in meno rispetto al 2008 quando, nell’intero anno, furono 196.522. Immediate le ripercussioni in termini di bilancio: questo dato è «il migliore dal 2002», ha detto il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, e - assieme ad altri fattori - consentirà all’istituto di chiudere il 2009 con un avanzo finanziario di 6-7 miliardi di euro (ma «il risultato – ha aggiunto – potrebbe essere anche molto superiore»). Numeri che stanno a dimostrare, sempre secondo Mastrapasqua, che le varie e successive riforme delle pensioni «hanno funzionato». Il risultato più eclatante sta proprio nel dimezzamento dei trattamenti pensionistici anticipati rispetto all’età di vecchiaia. Il dettaglio delle cifre evidenzia che il calo più forte si è registrato in particolare tra le pensioni nella gestione dei lavoratori dipendenti: qui i nuovi assegni sono stati 52.132, vale a dire meno di oltre la metà rispetto ai 120.626 che furono liquidati nell’intero 2008. E decisamente meno anche a fronte delle 63.700 pensioni che l’istituto aveva previsto per quest’anno. Se sono crollate le pensioni anticipate, è segno evidente che la gente ha preferito - specie in questo periodo di crisi economica - lavorare più a lungo. Difatti sono cresciute, al contrario, le pensioni di vecchiaia (concesse finora a 65 anni per gli uomini, 60 anni per le donne). Anche in questo campo, tuttavia, la crescita è stata in numero inferiore rispetto alle previsioni. Nel corso del 2009 i lavoratori privati andati in pensione per raggiunti limiti di età sono stati, nei primi 11 mesi, 152.546: una cifra in aumento di ben il 63,1% sui 93.512 dell’intero anno passato, ma in forte calo rispetto ai 210.940 che erano previsti. Nel 2009 quindi, anche a causa dell’inasprimento dei criteri per la pensione anticipata (vedi l’avvio, dal 1° luglio 2009, del sistema delle quote, per ora pari a "quota 95", nonché il dimezzamento delle "finestre" di uscita dal lavoro), si è rimasti al lavoro più a lungo, andando a riposo in media oltre i 60 anni. Nel complesso, da gennaio a novembre di quest’anno sono 244.471 le persone andate via dalla loro attività, tra vecchiaia e anzianità, in flessione del 15,7% dai 290.034 pensionati dell’intero 2008; si tratta di un dato in calo anche rispetto alle previsioni (312.190 erano le uscite attese). Per le anzianità, è probabile che alla fine (dell’anno) si resti sotto quota 100mila pensioni. Il calo non riguarda i soli dipendenti: per i coltivatori diretti le pensioni anticipate sono state 8.841 contro le 16.094 del 2008. Idem per gli artigiani (20.165 a fronte di 36.340) e i commercianti, con 10.787 uscite contro le 23.462 del 2008. Secondo il presidente dell’Inps, a pesare non è solo un "effetto-riforma", ma anche l’effettiva maggiore disponibilità della gente a restare al lavoro. «Siamo abbondantemente sopra i 60 anni di età per l’uscita», ha spiegato Mastrapasqua. Le pensioni di vecchiaia, invece, sono aumentate in percentuale soprattutto per commercianti e artigiani.
Scatta la riforma, assegni sempre più bassi. avorare più a lungo (com’è successo in questo 2009, secondo i dati Inps diffusi ieri) converrà sempre di più. Sul piano prettamente economico. La previdenza del 2010 segnala infatti una novità decisamente non positiva: chi lascerà il lavoro d’ora in poi avrà una pensione più bassa se ha versato meno di 18 anni di contributi a fine 1995.Sono gli effetti della revisione automatica dei coefficienti di trasformazione, usati per calcolare l’importo degli assegni di pensione. Si tratta di una norma la cui origine risale alla "riforma Dini" del ’95, appunto. Quella legge disponeva che la revisione si dovesse fare ogni 10 anni. Come forse i lettori più attenti ricorderanno, questo fu un argomento di grande discussione fra il governo e i sindacati nel 2006. Alla fine si decise di far saltare quella scadenza, ma nel "protocollo Welfare" del 2007 le parti si accordarono per far partire i nuovi coefficienti dal 2010, e di aggiornarli poi ogni 3 anni.La revisione di questi parametri si basa sulla previsione che, con l’aumentare degli anni, crescono le possibilità di una lunga vita. Il risultato, in ogni caso, sarà pesante: rispetto alla situazione valida fino al 31 dicembre 2009, dal 2010 le nuove pensioni saranno ridotte dal 6,38%, per chi può lasciare il lavoro a 57 anni, fino all’8,41% per chi si ritira a 65 anni. Ovviamente la misura varia poi a seconda della base, cioè del montante contributivo versato (che è rivalutato ogni anno in base al Pil) durante gli anni di lavoro, sul quale si applica poi il nuovo coefficiente.Secondo le simulazioni effettuate dalla Ragioneria generale dello Stato, per un lavoratore dipendente che andrà in pensione di vecchiaia (quindi a 65 anni) con 30 anni di contributi e un reddito di 40mila euro annui, la perdita sarà del 2% circa. Ma salirà al 3,7% della sua pensione se gli anni lavorati si riducono a 20: in questo caso, per intenderci, la pensione scende dai 16.104 euro l’anno che avrebbe preso nel 2009 a quota 15.531 euro. Con un danno secco pari a 573 euro.È da ricordare che dai nuovi coefficienti sono esclusi quei fortunati che avranno ancora la pensione calcolata con il metodo retributivo, cioè chi aveva più di 18 anni di contributi a fine ’95. La penalizzazione sarà invece ancora più forte per i lavoratori autonomi, che versano meno contributi, e per chi ha pochi anni di contributi. Questo perché la revisione comporta effetti per chi avrà la pensione tutta con il metodo contributivo (rapportata unicamente sui contributi versati) o per chi, avendo meno di 18 anni di contributi sempre a fine ’95, la riceverà con il sistema misto. Per questi ultimi, il calcolo della pensione in pratica si sdoppia: per gli anni lavorati fino al ’95 avranno una quota agganciata al vecchio sistema degli stipendi, mentre la parte successiva subirà l’applicazione dei coefficienti. Scatta, insomma, un’altra misura che penalizzerà non poco i più giovani. Per questo il sindacato (specie la Nidil-Cgil) ha chiesto più volte, ma invano, un rinvio.