martedì 3 settembre 2024
L’annuncio della joint venture fra i due gruppi per il progetto di cattura della CO2 in un giacimento esaurito di gas. I dubbi degli ambientalisti sul prosieguo dell’utilizzo dei combustibili fossili
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Eni e Snam hanno avviato il primo progetto italiano di cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio (Carbon Capture and Storage - CCS) a Ravenna per aiutare le industrie fortemente inquinanti a ridurre le emissioni di anidride carbonica (CO2).

Ma in cosa consiste la cattura e lo stoccaggio di CO2 e quali limiti e rischi porta con sé? Si tratta di un processo per raccogliere o catturare l’anidride carbonica generata da attività ad alte emissioni – come ad esempio le centrali termoelettriche a carbone o a gas, i cementifici, le acciaierie, i distretti industriali e gli impianti petrolchimici – prima che il gas serra venga rilasciato nell’atmosfera. La CO2 viene poi compressa allo stato liquido attraverso varie tecniche di raffreddamento e trasportata tramite condutture, navi o autocisterne in siti, nei quali viene utilizzata per processi industriali o stoccata in depositi sotterranei, sia su terra (onshore), sia in mare (offshore), come acquiferi salini, giacimenti di petrolio o gas esauriti, giacimenti di carbone non estraibili.

Nella sua prima fase, il progetto di Eni e Snam catturerà, trasporterà e immagazzinerà la CO2 dall’impianto di trattamento del gas naturale di Eni nel comune di Ravenna, stimata in circa 25mila tonnellate metriche all’anno. Una volta catturata, la CO2 verrà trasportata su fino alla piattaforma offshore di Porto Corsini Mare Ovest attraverso gasdotti convertiti di Snam e quindi iniettata e immagazzinata a una profondità di 3mila metri nell’omonimo vecchio giacimento di gas. «Utilizziamo i nostri giacimenti esauriti, le nostre infrastrutture esistenti e il nostro know-how nelle tecniche di reiniezione per offrire un servizio molto competitivo per il quale stiamo riscuotendo un grandissimo interesse» ha spiegato l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi.

«L’impegno nel progetto Ravenna CCS è parte integrante del nostro piano strategico – ha aggiunto Stefano Venier, amministratore delegato di Snam – ed è coerente con la nostra intenzione di porci quale operatore multimolecola per abilitare una transizione energetica giusta ed equilibrata».

Il progetto di Ravenna si propone di diventare l’hub italiano per la decarbonizzazione delle industrie ad alta intensità energetica difficili da elettrificare come i settori della ceramica, del vetro e dell’acciaio. L’hub offrirà i suoi servizi prima ai distretti industriali dell’Italia centrale, ma mira anche ad attrarre l’interesse delle aziende europee.

Secondo le stime riportate dal New York Times, se questa prima fase andrà liscia, Eni passerà a un piano più ampio, che inizialmente costerà fino a 1,5 miliardi di euro, e collegherà fabbriche fortemente inquinanti in Italia e forse anche in Francia, per arrivare ad assorbire fino a 16 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno da interrare, a seconda della domanda di mercato. L’obiettivo annunciato da Eni e Snam è arrivare entro il 2030 a pompare nei giacimenti offshore esauriti della Romagna almeno 4 milioni di tonnellate all’anno. Eni ha calcolato che i giacimenti esausti sotto il mare della Romagna possono stivare fino a 500 milioni di tonnellate di Co2. Secondo le organizzazioni internazionali come l’Intergovernmental Panel for Climate Change (Ipcc) e l’Autorità internazionale per le energie rinnovabili (Irena) la CCS è uno degli strumenti necessari e disponibili nel breve e medio termine per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e neutralità climatica fissati con l’accordo di Parigi del 2015. Nel rapporto “Global Renewables Outlook: Energy Transformation 2050” pubblicato nel 2020 da Irena si poteva già leggere che, agli attuali ritmi di crescita, la percentuale di energia rinnovabile mondiale avrebbe potuto toccare il 38% nel 2030 e il 55% nel 2050. Considerando gli scenari più ambiziosi si era ipotizzato di arrivare al 57% e all’86%, ma anche nelle prospettive più ottimistiche l’abbandono dei combustibili fossili doveva essere un processo graduale.

Allo stesso modo la Commissione europea ha indicato la CSS tra gli strumenti di decarbonizzazione e si è data l’obiettivo di dotarsi entro il 2030 di una capacità di stoccaggio di CO2 pari ad almeno 50 milioni di tonnellate per anno.

Non tutti, però, sono d’accordo con quest’approccio: l’utilizzo di questa soluzione non è considerata del tutto green, perché di fatto l’anidride carbonica viene catturata solo prima che si accumuli nell’aria. E secondo gli ambientalisti, proprio per questo motivo la CSS rischia di prolungare l’uso di combustibili fossili e al tempo stesso il suo utilizzo su larga scala e la sua fattibilità commerciale lasciano ancora aperti molti interrogativi legati al prosieguo dello sfruttamento delle fonti fossili.

Si è calcolato che per avere un impatto significativo nella lotta ai cambiamenti climatici, la capacità di sequestro della CO2 tramite CCS a livello globale dovrebbe attestarsi mediamente attorno ai 12 miliardi di tonnellate l’anno, un livello 260 volte superiore all’attuale.

Anche l’organizzazione intergovernativa, l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), ha stimato che la cattura del carbonio deve rappresentare l’8 per cento delle riduzioni cumulative delle emissioni se il mondo vuole raggiungere la net zero entro il 2050. In altre parole, per essere sulla buona strada il volume di anidride carbonica immagazzinata deve aumentare di venti volte entro il 2030, fino a un miliardo di tonnellate all’anno: «Un’impresa molto ambiziosa» secondo l’analista dell’Iea, Carl Greenfield.

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