La delocalizzazione può funzionare, ma non se è mirata a produrre dove il lavoro costa meno e vendere e investire in aree diverse, perchè in una economia sana devono essere presenti tutte e tre queste dimensioni. È quanto sostiene il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, in un editoriale di prima pagina dell'
Osservatore Romano, in cui non si parla mai esplicitamente della Fiat, ma facilmente riconducibile alle vicende di questi giorni.Il banchiere cattolico cita una storiella di Henry Ford, il quale, «dopo avere sopportato un lungo periodo di conflittualità sindacale, fece progettare e costruire una fabbrica di automobili totalmente automatizzata. Mostrò poi l'impianto senza operai al potente capo dei sindacati e gli disse con scherno: 'La fermi ora, se ne è capace'. Ma il sindacalista replicò: 'Adesso venda lei le auto prodotte, se ne è capacè. Sottintendendo che, se non si produce potere di acquisto, non è nemmeno possibile vendere».«L'uomo economico - insiste Gotti Tedeschi - è infatti produttore, compratore, investitore», e «il mondo intero ha sotto gli occhi gli effetti della delocalizzazione, soprattutto in Asia, degli ultimi anni, fenomeno che ha prodotto trasferimenti di capitali e tecnologie, orientati soprattutto a ottenere produzioni a basso costo, ma senza basarsi su vere scelte strategiche. Ciò ha generato un nuovo modello economico difficilmente sostenibile, perchè ha creato Paesi produttori, ma temporaneamente non consumatori, e Paesi consumatori, ma non più produttori. I primi sono entrati nel ciclo economico della crescita, i secondi ne sono quasi usciti».Se una simile filosofia prendesse piede in Occidente - avverte Gotti Tedeschi - «si rischia di poter quotare in Borsa solo l'Empire State Building, la Tour Eiffel o il Colosseo».