In Italia, "l'adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un problema" per le generazioni future, e "i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia". Lo scrive l'Ocse accusando il "metodo contributivo" e l'assenza di pensioni sociali.In Italia resta "relativamente bassa" l'età effettiva alla quale uomini e donne lasciano il mercato del lavoro: 61,1 anni per gli uomini e 60,5 per le donne, contro una media Ocse rispettivamente di 64,2 e 63,1 anni. Lo sottolinea l'Ocse nel rapporto 2013 sui sistemi pensionistici da cui emerge come anche i tassi di partecipazione al mercato del lavoro dei lavoratori appartenenti alla fascia di età 55-64 (anche se sono migliorati passando dal 27,7 % al 40,4 % tra il 2000 e il 2012) "sono ancora relativamente bassi" e presentano "spazio per ulteriori miglioramenti". Tuttavia, riconosce l'organizzazione, "l'aumento dell'età pensionabile non è sufficiente per garantire che le persone rimangano sul mercato del lavoro, soprattutto se esistono meccanismi che consentono ai lavoratori di lasciare il mercato del lavoro in anticipo". Sono pertanto "essenziali" politiche per promuovere l'occupazione e l'occupabilità e per migliorare la capacità degli individui ad avere carriere più lunghe."Con una spesa pubblica per pensioni di vecchiaia e superstiti pari a 15.4% del reddito nazionale (rispetto a una media Ocse del 7,8 %), l'Italia aveva nel 2009 il sistema pensionistico più costoso di tutti i Paesi dell'Ocse. Ma con la riforma globale del sistema pensionistico adottata nel dicembre 2011, l'Italia ha realizzato un passo importante per garantirne la sostenibilità finanziaria". È il giudizio dell'Ocse contenuto nel rapporto 2013 sui sistemi pensionistici.