venerdì 7 dicembre 2012
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Per capirlo basta sentire amici e parenti per gli auguri, o scambiare due chiacchiere col negoziante sotto casa: sarà un Natale al ribasso. Meno consumi, meno spese per regali, viaggi, pranzi e cenoni. Una sobrietà obbligata, insomma.Ma potrebbe anche essere un’occasione per comprendere più a fondo il significato dei nostri acquisti. Di quello che c’è dietro un oggetto che attira il nostro sguardo da una vetrina luccicante: ci sono imprese, posti di lavoro, persone, famiglie. Il cui futuro, in un modello economico dove produzione e consumo sono indissolubilmente legati, dipende anche dai nostri acquisti. E verso i quali il consumo si può quasi vedere come un atto di solidarietà. La prevedibile gelata dei consumi a Natale, invece, come una prospettiva che fa tremare. Si può chiedere di consumare per "far girare l’economia", invitando chi può a mantenere determinati livelli di consumo – che uniti all’eccessivo indebitamento sono stati una delle cause della crisi – perché altrimenti le cose potrebbero persino peggiorare? «Per il consumatore la crisi può essere un’opportunità di muoversi verso consumi sostenibili», risponde il professor Andrea Segrè, presidente di Last minute market, spin-off dell’Università di Bologna per il recupero agli enti caritativi dei beni invenduti, e autore di numerose pubblicazioni (fra cui "Economia a colori") su economia della sufficienza e lotta allo spreco. «C’è un dato – dice – che esprime quanto sta accadendo: con la crisi diminuiscono gli acquisti, quindi i rifiuti, ma non lo spreco, che riguarda ciò che è ancora utilizzabile. Vuol dire che abbiamo un po’ perso le coordinate. Ma è un classico dell’economia della crescita, che è costruita proprio sullo spreco. Il rilancio partirà non da consumi di prodotti "vecchi", e che buttiamo via, ma da prodotti diversi, sostenibili e che creano lavoro. Non accadrà dall’oggi al domani, ma se non cominciamo adesso, quando lo faremo?».Il consumatore, però, per poter individuare i prodotti e le attività con maggior capacità di costruire un futuro sostenibile, deve avere le informazioni giuste. «Che ci sono – sottolinea Segrè – sebbene se ne dovrebbe parlare di più: l’economia "verde" e quella "blu", l’economia del dono e della relazione, i movimenti per la sobrietà e la decrescita ci sono. Perché arrivino a orientare il mercato, incidendo sulla produzione e il lavoro, occorre però che facciano massa critica. E il consumatore dovrebbe essere un po’ più sensibile, non appiattendosi sul consumo di massa: dovremmo fare tutti uno sforzo per dar vita a un mercato diverso».Sull’importanza centrale di scelte informate da parte dei consumatori concorda Alberto Zoratti, presidente di Fairwatch, associazione che promuove il commercio equo-solidale. «Oggi – dice Zoratti da Doha, dove si trova per la Conferenza delle Parti dell’Onu sul cambiamento climatico – è sempre più possibile raccogliere informazioni sugli impatti sociali e ambientali dei nostri stili di vita. E sviluppare un approccio "premiante" verso chi crea economia sostenibile, altrimenti non sarà mai possibile una transizione ecologica e sociale. Sostenere esperienze come il commercio equo-solidale, il biologico, il mondo dell’economia solidale, significa focalizzare l’attenzione su criteri di trasparenza, equità, tracciabilità, che dovrebbero diventare parte integrante della futura economia sostenibile». Ma non c’è il rischio che si tiri per la giacchetta il consumatore proclamando una sostenibilità ardua da verificare? «Il rischio è il cosidetto green marketing, (più pubblicità che sostanza, ndr) per questo è importante che la società civile monitori e denunci le attività economiche insostenibili».Se lo si invita a consumare per sostenere economia e lavoro, al consumatore si riconosce implicitamente un grande potere: quello di partecipare attivamente alle decisioni su quali sono i prodotti, i settori economici, e i loro lavoratori, da salvaguardare nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. «È il concetto del consumattore – spiega Flaviano Zandonai, ricercatore di Euricse, istituto europeo di ricerca su cooperative e imprese sociali – che è protagonista nell’ottica ad esempio della valorizzazione dei marchi, o della qualità di beni e servizi. Nel mercato dell’economia sociale questo collegamento è ancora più esplicito e valorizzato. Portando il ragionamento agli estremi, il consumo è un atto che si può considerare politico, anche rispetto alle conseguenze sull’occupazione. Credo sia indispensabile conoscere le implicazioni delle proprie scelte di consumo, ma anche di investimento, sui processi produttivi, cioè il loro impatto sociale e ambientale, ma anche abituarsi a rimetterle in discussione: la vera sfida del consumatore, oggi, è questa, anche rispetto alle imprese profit». L’era del consum-attore e del risparmi-attore, forse, è alle porte.​
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