venerdì 20 settembre 2013
​L'ossessione per la valuta è il convitato di pietra alle elezioni. Nella storia di «Die Mark» le radici dell'avversione tedesca per l'inflazione e del bisogno di una moneta «robusta» che condiziona ancora oggi la politica europea.
IL CASO Oberhausen, l'ultimo vagone della locomotiva tedesca
L'INTERVISTA «L'Europa è sulla strada giusta per ridurre i suoi squilibri» (Giovanni Maria Del Re)
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Domenica la Germania va alle urne per il rinnovo del Bundestag, il Parlamento. Nettamente favorita la Cancelliera Angela Merkel sui socialisti di Peer Steinbruck, c’è però una pesante incognita, rappresentata da Alternative für Deutschland di Bernd Lucke, cinquantenne professore di Macroeconomia all’Università di Amburgo che sogna il ritorno al vecchio e caro marco; in subordine la cacciata dall’euro dei Paesi mediterranei. In primis Grecia e Cipro; poi chissà... Alternative è dagli ultimi sondaggi accreditata di circa il 5%, soglia minima per ottenere seggi, sennonché parecchi osservatori non escludono sorprese. L’opinione pubblica essendo pervasa di nostalgie per un passato che vide Die Mark protagonista. Una vicenda monetaria che va raccontata.Die Mark è venuto alla luce nel 1875. Tuttavia sin dalla capitolazione di Parigi (28 gennaio 1871) alle armate prussiane alleate alla Russia zarista, il Cancelliere Otto von Bismarck si preoccupa del business. A trattare le condizioni di resa sono il banchiere Gerson Bleichröder ed i magnati dell’industria Guido Henkel ed Alfred Krupp. Nel Salone degli Specchi di Versailles l’ammontare delle "riparazioni" viene fissato in cinque miliardi di franchi-oro. Treni blindati carichi di lingotti partono per Berlino, ed è su questa montagna dorata che poggia la riforma monetaria.Sino ad allora nel Reich appena unificato esistevano sette sistemi monetari e ben trentatré monete diverse. Il Tallero in Prussia, il Gulden in Baviera, per esemplificare. Le maggiori banche germaniche fanno da motore allo sviluppo economico e sociale. L’età media dei cittadini sale da 35 a 52 anni, il reddito pro-capite da 350 a quasi 1.000 marchi, con un’inflazione pressoché inesistente. Comprensibile: ancora il 13 agosto 1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, il marco era garantito dall’oro depositato nei forzieri della Reichsbank. Alla Borsa di Berlino un dollaro Usa valeva 4,25 marchi; una sterlina 24; franco francese e lira italiana 90 Pfennig (centesimi). Pur sicuro dell’immancabile vittoria militare il Kaiser firmò il decreto d’inconvertibilità dei biglietti cartacei in oro. E fu l’inizio del collasso. Ai soldati smobilitati dopo la firma della resa a Compiègne (11 novembre 1918), il quartiermastro consegnava 50 marchi per congedo, 15 per il viaggio, assieme ad un abito civile. Una miseria, essendo esplosa l’inflazione. Devastante. Si arriverà a 5 miliardi di Papiermark (marchi di carta) per un chilo di pane o un boccale di birra. All’improvviso, nel cupo cielo di Berlino il potente ministro Hjalmar Schact, dopo segrete trattative alla City e Wall Street, tenendo i francesi all’oscuro, vara la Grande Riforma che segna (24 agosto 1924), la nascita del Reichsmark, garantito al 40% dall’oro; e presto valuta di respiro mondiale, poiché le aziende tedesche possono emettere prestiti internazionali che trovano entusiastica accoglienza in Usa e Gran Bretagna. La democrazia della Repubblica che ha portato la capitale a Weimar, medioevale cittadina della Turingia, è fragile. E la crisi planetaria degli Anni Trenta favorisce l’ascesa al potere di Adolf Hitler.Il dittatore è posseduto da un disegno megalomane. La Deutsche Bank è segretamente incaricata di studiare un progetto, perfezionato dalla Reichsbank, che prevedeva dopo il trionfo delle armate tedesche, l’esistenza di due monete-guida: dollaro e marco. Assegnando allo yen giapponese l’egemonia in Asia. L’Europa dovrebbe insomma trasformarsi nell’Area del marco, ancorato all’oro, con sede a Vienna. A farne parte, oltre all’alleata Italia mussoliniana, si prevede siano Olanda, Danimarca, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Ungheria e in un secondo tempo Belgio e Paesi scandinavi. Franco francese, franco svizzero, sterlina inglese relegate a un ruolo di secondo piano.Non se ne fece nulla, ovviamente. Con la sconfitta militare ricompare il fantasma dell’inflazione. Dal maggio 1945 i Reichsmark tornano, in una Germania divisa, ad essere pezzi di carta. Nei territori occidentali, occupati da americani, francesi ed inglesi, ne occorrono 800 per un pacchetto di sigarette, mille per una libbra di margarina. Troppo lungo sarebbe il racconto della terza resurrezione di <+corsivo>Die Mark<+tondo>. A deciderla sono gli angloamericani che solo all’ultimo momento informeranno i francesi. Quanto ai russi, padroni dell’Est, vengono messi di fronte al fatto compiuto. L’operazione battezzata Birddog (cane da caccia), scatta all’alba di domenica 20 giugno 1948. La radio annuncia che il Reichsmark sarà a tamburo battente sostituito dal Deutsche Mark. I biglietti sono stati stampati in America, poi concentrati nella base militare di Kassel. Unici partecipi del segreto, Konrad Adenauer presto incoronato Cancelliere a Bonn, capitale provvisoria, ed Hermann Abs, banchiere di lungo corso. Ogni cittadino riceve 40 marchi, presentando la tessera annonaria; sui conti bancari il cambio è di 1 contro 10 per i piccoli risparmiatori; di 1 a 15 per i grossi capitali. Stipendi, tariffe, affitti, invariati. Non vengono toccate azioni e proprietà immobiliari.Quanto vale, in pratica il nuovissimo marco? I mercati dei cambi sembrano trascurarlo. Con la firma dei Trattati di Roma che danno vita al Mercato europeo comune, il 25 marzo 1957, emerge che nei confronti della nostra lira ne vale 155. Dieci anni dopo salirà a 180, a 400 nel 1977. Sino alla punta massima di 1.160 nel 1995, alla vigilia dell’introduzione dell’euro quando verrà fissato a 989,999.Pertinente domanda: perché, con una moneta tanto forte, la Germania ha fatto confluire il marco nell’euro? Risposta: fu il risultato di un duro braccio di ferro fra l’allora presidente francese François Mitterrand e il Cancelliere Helmut Kohl. Infatti Parigi condizionò il suo sì alla riunificazione tedesca (dopo la crisi del comunismo sovietico) al varo dell’euro. Nel giustificato timore del rinascere di una superpotenza economica nel cuore dell’Europa. Purtroppo, la mancanza di una reale, auspicata solidarietà nel Vecchio Continente, sta facendo uscire dagli armadi antichi fantasmi. Per questo, le elezioni tedesche, in un momento di depressione economica dalla quale solo la Germania sembra esente, col rispuntare di antieuropeisti alla maniera di Bernd Lucke, assumono una valenza che tutti ci tocca da vicino.
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