sabato 23 agosto 2014
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Dopo il 40,7 per cento incassato alle Europee, Renzi è diventato di fatto il punto di riferimento del Pse per scalfire il rigorismo della Germania e dei Paesi del Nord e applicare in pieno le clausole di flessibilità già previste dai patti sui conti. Ma la partita è dura. Sinora Bruxelles, e anche la Bce di Mario Draghi, sono irremovibili nel chiedere a Roma riduzione del debito e avanzamento in tempi certi delle riforme strutturali. Come quella del lavoro: il governo ha sì varato un decreto che ha reso convenienti i contratti a termine, ma il Parlamento non ha ancora completato l’esame della legge-delega, con il contratto a tutele crescenti e il nuovo sistema degli ammortizzatori sociali. Troppa lentezza e pochi risultati, per Bruxelles. D’altra parte, anche la delega fiscale attende ancora i più importanti decreti attuativi. E pure su altri dossier europei Renzi trova ostacoli: il semestre italiano in realtà è un tempo di transizione, dato che la nuova Commissione inizierà a lavorare a novembre. Inoltre, la candidatura di Federica Mogherini alla politica estera comunitaria sta incontrando resistenze, nonostante il recente attivismo di Roma sulla scena internazionale. Ma forse lo schiaffo che pesa di più è il reiterato «no» di Bruxelles ad aiutare l’Italia nella gestione degli eccezionali flussi migratori. Continuiamo a fare da soli, con l’encomiabile e costosa operazione Mare nostrum.
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