Ora siamo ufficialmente in recessione. Da ieri lo siamo anche sul piano tecnico (su quello sostanziale lo eravamo già da tempo), dopo che l’Istat ha attestato che per il secondo trimestre consecutivo l’Italia ha distrutto ricchezza, anziché crearne di nuova. La sentenza dell’istituto statistico è relativa all’ultimo trimestre del 2011, quando il Prodotto interno lordo è sceso dello 0,7% sul trimestre precedente e dello 0,5% rispetto al quarto trimestre del 2010. È una flessione che segue quella del terzo trimestre, che fu più lieve (-0,2%).È un aggravamento del quadro economico al quale reagisce però da Strasburgo un Mario Monti in grande forma. Forte dei riconoscimenti internazionali, il premier spiega nella seduta plenaria del Parlamento europeo come l’Italia sia «impegnata in una complessa corsa per uscire dall’emergenza: stiamo gradualmente riuscendo – dice – a togliere il nostro Paese dalla zona d’ombra in cui in qualche momento è stato collocato come fonte, contagio o focolaio» della crisi. Il presidente del Consiglio respinge le accuse ed esclude che siano necessari nuovi sacrifici («Abbiamo già messo al sicuro l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013»).La stagnazione dell’economia fotografata dal dato Istat porta però con sé anche il rischio di perdere ulteriormente terreno, sia in assoluto sia rispetto al resto dell’Europa: se da una parte, infatti, il Pil ha così chiuso l’anno passato con un modesto +0,4% (l’ultima stima del governo era +0,6%), oltre un punto in meno all’1,5% della media europea e in netta frenata rispetto all’1,4% di Pil italiano nel 2010, dall’altra la cosiddetta crescita acquisita per l’anno in corso (cioè quella che si avrebbe come semplice effetto di trascinamento del dato 2011) è già negativa: come dire che l’Italia è partita nel 2012 con una zavorra pari a meno 0,6% e avrà, pertanto, una strada tutta in salita. Il ritorno in recessione avviene dopo poco più di due anni: l’ultima volta era nel secondo trimestre del 2009. Inoltre il ribasso dello 0,5% registrato su base annua rappresenta un calo tendenziale che non si verificava più dal quarto trimestre del 2009, quando però era molto più grave (meno 3%).Insomma, molto c’è ancora da fare e tanto è stato fatto, come dimostrano l’affetto e la stima che accolgono Monti a Strasburgo, dove addirittura qualcuno chiede al premier italiano di risolvere anche le questioni greche appena il suo mandato sarà concluso. Nel 2013, dice Monti, convinto che la legislatura arriverà a scadenza naturale e certo che «la politica è un mestiere che non avrò il tempo di imparare». E se «via via il governo italiano cresce di credibilità», conferma il premier, i sacrifici chiesti al nostro Paese, dice Monti al Parlamento di Strasburgo, «non sono imposti dall’Europa ma necessari per il miglioramento della vita economica, sociale e civile degli italiani e nell’interesse dei nostri figli».Quanto all’Europa, però, dove «non esistono buoni e cattivi», ma tutti «dobbiamo sentirci corresponsabili», il rischio della crisi dell’eurozona resta. Rimane, spiega il premier, il pericolo che «questa crisi diventi fattore di disgregazione europea». Perciò, insiste un capo del governo pronto a "pungere" gli euroscettici, e in particolare la Gran Bretagna, bisogna rimanere fermi nella convinzione che «l’euro è stato il perfezionamento più ambizioso della costruzione comunitaria».In Italia, però, Monti sa bene che un lavoro ancora lungo lo aspetta, e i dati Istat non lo colgono impreparato. La conferma di queste difficoltà aggrava le preoccupazioni di quanti, come il sindacato, temono il fatto che «ogni trimestre in più di recessione ci avvita ulteriormente, il tema è come s’inverte questa tendenza» (a parlare è Susanna Camusso, segretario generale della Cgil). Il problema della crescita resta «molto serio» anche per Emma Marcegaglia e porta il presidente di Confindustria a ripetere come un mantra che ora «dobbiamo andare avanti con le riforme». Mentre, sul fronte politico, il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, sottolinea che «ci stiamo distraendo un po’ troppo» rispetto alle urgenze dell’economia.