Nel settore del risparmio gestito italiano è in arrivo un piccolo terremoto. In queste settimane, in base alle regole della direttiva Mifid2, le società a cui le famiglie hanno affidato i propri soldi stanno iniziando a inviare ai clienti informazioni dettagliate sui costi reali del loro investimento, con numeri chiari sul peso di commissioni e altri servizi rispetto ai rendimenti del capitale investito. «La maggiore consapevolezza sui prezzi nei prossimi 24 mesi porterà tensioni tra i clienti e i distributori di prodotti finanziari» scrive Ubs in una nota di qualche mese fa.
È inevitabile: la maggioranza dei risparmiatori italiani non sa neanche che la gestione del risparmio ha un costo. «Circa l'80% degli investitori è convinto che la consulenza sia gratuita, ovvero non è in grado di dire se essa venga remunerata» ha ricordato la Consob nel suo ultimo rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane. Più del 50% non sa nemmeno spiegare in che cosa consista il lavoro del consulente. Con clienti così inconsapevoli non può stupire che i costi medi dei fondi di investimento italiani siano più alti di quelli degli altri Paesi europei, come segnalato nell'ultimo rapporto dell'Esma, l'autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati.
Gli italiani hanno investimenti finanziari per 4.400 miliardi di euro (più o meno tre volte il Pil). Uno scossone anche piccolo in questo mercato può spostare masse enormi. Tra le aziende che sicuramente potrebbero beneficiare di questa nuova consapevolezza degli investitori c'è Moneyfarm, società lanciata nel 2012 dal ceo Giovanni Daprà e il presidente Paolo Galvani, che si sono conosciuti lavorando negli uffici londinesi di Deutsche Bank: «Con i nuovi obblighi informativi imposti da Mifid2 finalmente i clienti avranno la possibilità di comparare le commissioni. Noi abbiamo inviato le informative a inizio aprile 2019, nell'industria tradizionale qualcuno inizia a inviarle solo ora» spiega Galvani.
Nata con l'idea di proporre ai risparmiatori una soluzione digitale, semplice ed economica, Moneyfarm nei suoi primi sette anni è è cresciuta molto. Ha conquistato 40mila clienti tra Italia, Regno Unito (dove ha la sede legale) e Germania, mercato in cui è entrata a fine 2018 con l'acquisizione del robo-advisor Vaamo. Gestisce 700 milioni di euro di risparmi e con 74 milioni di euro raccolti negli anni tra gli investitori (compreso il gigante tedesco Allianz) è una delle aziende fintech più finanziate. Clienti e masse gestite continuano a crescere a un ritmo dell'8-10% al mese.
L'idea della prima ora di un risparmiatore del tutto autonomo e "fai da te" è stata poi via via rivista proprio perché ci è resi conto che l'investitore medio italiano preferiva essere guidato durante le scelte di allocazione del proprio risparmio. «Noi siamo partiti con due presupposti. Uno era il nostro slogan iniziale "power to the saver", cioè dare potere al risparmiatore: ossia volevamo dare al cliente più controllo sui suoi investimenti. L'altro era il valore dell'essere un consulente indipendente, senza conflitti di interesse. Abbiamo però capito presto che il cliente non vuole molto "empowerment": i risparmiatori italiani cercano un consulente di cui fidarsi che gli risolva nel modo più efficiente possibile il problema di gestire i suoi risparmi. I costi bassi, la trasparenza e la semplicità di utilizzo, le nostre reali caratteristiche distintive, sono anche le principali e più potenti leve che alla fine attraggono i clienti».
Difatti Moneyfarm ha lavorato a fondo su questi tre aspetti. Il sistema è semplice e trasparente: attraverso un questionario i clienti definiscono i loro obiettivi di investimento e la propensione al rischio, sia quella percepita che quella reale, quindi l'algoritmo della società propone un portafoglio di Etf, fondi "passivi" che ricalcano l'andamento di un indice di Borsa, costruito su misura. L'uso degli Etf permette di tenere i costi a livelli bassi, tra lo 0,6 e l'1,3% del capitale investito.
«In Italia il nostro cliente medio rientra in una fascia di età tra i 40 e i 50 anni con una buona disponibilità di risparmio e qualcuno ha anche avuto in precedenza un incidente di percorso con qualche società tradizionale di gestione del risparmio. Arrivano da noi proprio perché in cerca di qualcosa di più trasparente e più semplice» spiega Galvani.
L'azienda ha anche saputo cavalcare la digitalizzazione dei servizi finanziari, senza però far venir meno il rapporto umano con il cliente: «Le persone si sono abituate a potere fare qualsiasi operazione bancaria dal telefonino e si chiedono: perché quando si tratta di risparmi non posso farlo? All'inizio pensavamo a un approccio tutto digitale, invece abbiamo visto che per molti poter avere un contatto con qualcuno è ancora importante. Per questo abbiamo una squadra interna di consulenti che si occupa di supportare i clienti quando hanno bisogno di capire l'andamento dei loro portafogli, o che li aiuta a gestire le emozioni in momenti critici dei mercati o che spiega loro l'importanza di fare un piano di accumulo».
Nei prossimi mesi Moneyfarm lancerà anche un nuovo prodotto di previdenza complementare, per accelerare ulteriormente la sua espansione. Con 7 anni di età, uffici in tre Paesi e oltre 110 dipendenti l'azienda è un po' "vecchia" come startup, «però come una startup e d'accordo con gli azionisti (oltre ad Allianz e ai fondatori ci sono i fondi United Ventures e Cabot Square, Endeavor e la Fondazione di Sardegna, ndr) continuiamo a prediligere lo sviluppo della base degli asset e di clienti prima di concentrarsi sulla redditività, che è poi una conseguenza una volta consolidata la crescita».