venerdì 24 maggio 2013
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​«È vero, il Nord Italia è al centro di una tempesta perfetta» spiega Daniele Marini, direttore scientifico della Fondazione Nord Est. «La bassa domanda interna, la stretta sul credito, il ritardo dei pagamenti da parte dello Stato rappresentano un mix micidiale per le nostre imprese. Ma il problema più grave resta l’incapacità del mondo politico di saper leggere in profondità la questione settentrionale». L’analisi di Giorgio Squinzi sul malessere delle regioni più produttive del Paese, per Marini, «è un grido d’allarme forte, che parte da una constatazione elementare: nel Nord c’è la concentrazione maggiore di imprese e, di queste, il 90% ha meno di dieci dipendenti».Perché la tempesta perfetta ha colpito soprattutto i piccoli produttori?Perché chi ha vissuto in questi anni solo del mercato domestico è entrato in forte sofferenza, mentre chi ha saputo diversificare e innovare, poi è riuscito anche a internazionalizzarsi. In Veneto, Piemonte e Lombardia si viaggia ormai a doppia velocità: da un lato c’è un sistema delle imprese agganciato all’economia europea, che ha prodotto non pochi sbocchi sui mercati esteri e ha garantito la tenuta della nostra industria grazie al buon andamento dell’export, dall’altro c’è un modello territoriale, fatto dai cosiddetti «piccoli», che va al traino. Con difficoltà crescenti, di questi tempi. Non solo: mentre il mercato corre veloce, la politica rimane inesorabilmente indietro.Secondo il Movimento Cinque Stelle, che nelle Politiche ha sfondato proprio nel Nord Est, Confindustria sta dimenticando il popolo delle piccole e medie imprese...In queste settimane, ho fatto diverse assemblee di zona con molti industriali che hanno votato Grillo. Sa cosa mi hanno detto? La nostra è stata pura protesta, ma non daremo mai il Paese in mano al Movimento. Semmai, il problema è che esiste una generazione di imprenditori che si ritrova a non avere più una rappresentanza forte, dopo la lunga illusione del periodo berlusconian-leghista. Molte speranze positive erano state riposte nel governo Monti, ma senza grandi esiti.Squinzi ha fatto un’apertura di credito nei confronti del governo Letta.C’è una posizione di fiduciosa attesa: si aspettano misure sul credito, sulla sburocratizzazione, sulla tassazione. Ha ragione il ministro Giovannini: la ripresa non si fa per decreto, ma creando le condizioni giuste per ridare fiato alle aziende. Per capirci: vanno bene i provvedimenti di defiscalizzazione del lavoro o gli impegni ad assumere giovani per tre anni senza contributi. Ma prima deve ripartire l’attività economica, altrimenti tutto è inutile.Come giudica i segnali arrivati sull’Imu e sul rifinanziamento della cassa integrazione in deroga?Sull’Imu è meglio sospendere il giudizio, anche perché se a dicembre l’imposta poi raddoppia, siamo ancora punto e a capo. Servono interventi di sistema, a partire dalla revisione del cuneo fiscale. Per le nostre imprese, certo sarebbe stato meglio un segnale sull’Irap.Sindacati e impresa sembrano marciare finalmente uniti, ma il clima di fiducia non pare beneficiarne. Perché?C’è una sorta di strabismo tra il livello nazionale e quello locale. Il Primo Maggio scorso, le parti sociali hanno fatto manifestazioni comuni, a Bologna come a Treviso. È la dimostrazione che sui territori sono possibili forme di convergenza. È a livello centrale che manca ancora il coraggio di gettare il cuore oltre l’ostacolo, di cercare ciò che unisce piuttosto di ciò che divide. Invece tutti, a partire da Confindustria, hanno bisogno di una scossa per ripartire.
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