Si può fare di più. Le buone notizie sulla crescita e lo sviluppo del terzo settore provenienti da Italia e Regno Unito non bastano per considerare avviato un cambiamento strutturale nell’economia sempre in recessione. Ma il processo può prendere una direzione interessante in Europa secondo il sociologo della Cattolica Mauro Magatti, da poco nominato nella commissione di beneficenza della Fondazione Cariplo e attento osservatore degli scenari emergenti dalla crisi.
I dati segnalano una crescita in questi anni difficili del non profit in Italia come Oltremanica. Un segnale di reazione alla crisi?Mi pare una tendenza ormai stabile in Paesi maturi nell’Europa segnata dall’invecchiamento della popolazione e che quindi deve ampliare i servizi alla persona anziana generando nuova occupazione con imprese senza scopo di lucro. Che non hanno ovviamente creato posti di lavoro sufficienti a sostituire quelli persi con la recessione. Tuttavia è chiaro che ripresa e crescita – oltre che dal settore dell’esportazione e dalla domanda interna – per segnare una discontinuità con il consumismo dei decenni scorsi e generare un’economia con valori forti – passano strategicamente da un Terzo settore con caratteristiche diverse.
Quali?Il modello italiano prevede una forte dipendenza da erogazioni o convenzioni della pubblica amministrazione che sono state tagliate. Non credo ci saranno inversioni di tendenza. Occorre uscire da questa stretta che soffoca crescita e sviluppo e avere un settore non profit più indipendente.
Ma per arrivarci occorrono riforme del sistema di welfare.Sono indifferibili. Dobbiamo pensare a due tipi di cambiamenti del sistema di welfare secondo me. Il primo prevede una forma di lotta alla povertà che va nel solco tracciato da Amartya Sen con l’aumento delle cosiddette
capabilities, cioè la possibilità di formazione e di partecipazione al processo produttivo. Sull’altro piano occorre garantire i servizi sociali esistenti integrandoli con altri che migliorino la qualità della vita e mettano al centro la dignità della persona e i legami sociali sempre nell’ottica della sostenibilità con forme che una volta potevano sembrare inappropriate, ma oggi sono indispensabili. Bisogna rifarsi, però, al mutualismo e ai valori della cooperazione. Ad esempio nei condomini delle grandi città vivono ormai persone anziane e sole con problemi diversi. La sfida del welfare di domani è prendersene cura mettendo insieme i bisogni. Anche il terzo settore impari, però, ad aggregarsi, perché per crescere servono imprese più grandi ed efficienti che rispondano a bisogni aggregati. È infatti sempre più difficile ottenere dal servizio pubblico risposte individuali a domande individuali. Gli asili nido non sono decollati anche perché la domanda è troppo parcellizzata.
Ma qualunque studio su onlus e cooperative dimostra che hanno un problema finanziario non solo in Italia perché le banche faticano a concedere prestiti al terzo settore. Dove trovare credito per crescere?C’è una fonte che non è stata mai toccata. Mi riferisco al fallimento del secondo pilastro della riforma delle pensioni, ispirato da un modello anglosassone mercatistico che i cittadini di un’Italia a tradizione cattolica non hanno mai fatto decollare. Le liquidazioni sono risorse ingenti attualmente bloccate. Occorre a mio avviso rilanciare le pensioni integrative con intermediari territoriali che offrano garanzie di investimenti ad esempio nel settore dei servizi sociali, creando opportunità di crescita per il terzo settore e sviluppo sociale.
Ieri l’imprenditore Vincenzo Manes in un’intervista proponeva un fondo per le imprese sociali puntando sulla tutela del patrimonio culturale e ambientale nazionale per generare nuova occupazione. È una via praticabile?Sì, accanto ai servizi della persona, anche la tutela della bellezza, da valorizzare in chiave turistica, è uno dei filoni di crescita del terzo settore che genera occupazione. Si può applicare anche a queste imprese sociali di orientamento culturale ed ecologico il modello di aggregazione della domanda e dell’offerta con gli investimenti etici dei fondi pensione. Così si genera un’economia nuova che risponde alle domande di senso lasciate senza risposta dalla crisi.