È trascorso un mese da quando la Banca centrale europea ha annunciato il piano espansivo più audace della sua storia, ma il suo impatto sui mercati appare controverso. Se è vero che le misure devono ancora dispiegarsi nell’economia reale, è tuttavia normale che i mercati ne anticipino le conseguenze. Finora però non sempre è andata così. Il caso più sorprendente riguarda l’euro, che doveva scendere e invece è salito. Sull’azionario le Borse europee sono cresciute meno del previsto. I titoli di Stato hanno confermato il momento positivo, con lo spread tra il nostro Btp a 10 anni e l’omologo Bund tedesco stabile intorno a 150 punti, mentre in asta il rendimento del decennale ha strappato il record del 2,81%. Il credito interbancario ha avuto invece la reazione più brusca, per effetto della remunerazione negativa sui depositi Bce decisa il mese scorso: i tassi
overnight a cui le banche si prestano denaro sono crollati in giugno a una media dello 0,06% dallo 0,25% registrato a maggio. Per il resto, a muovere i mercati sono state soprattutto le notizie provenienti dagli Stati Uniti, come accaduto anche ieri con il dato migliore delle attese sulla disoccupazione americana. Sulla scia di Wall Street Milano ha chiuso ieri in rialzo dello 0,95%, portandosi così a +1,21% rispetto al meeting dello scorso 5 giugno. L’Euro Stoxx 50, che raggruppa i maggiori titoli dell’area euro, è salito nello stesso periodo meno del 2%, in linea con l’andamento del Dow Jones americano. Lo stimolo della Bce tuttavia verrà a mancare «ben oltre l’orizzonte di previsione», scrivono gli analisti del Credit Suisse. Dunque «gli asset rischiosi nell’area euro dovrebbero performare relativamente bene». Quanto all’euro, un mese fa valeva 1,3599: dopo una breve discesa a 1,35 dollari, ha toccato martedì scorso quota 1,37 per portarsi solo ieri intorno a 1,36 grazie a un apprezzamento del biglietto verde. Il cambio continuerà a essere influenzato dall’intensità della ripresa americana. «A nostro avviso il mercato ha reagito ai dati deludenti della scorsa settimana, quando il dollaro (e i rendimenti Usa) si sono mossi al ribasso in scia al dato sul Pil sorprendentemente debole nel primo trimestre dell’anno», spiega Sara Yates, Vice Presidente e strategist valutaria di J.P. Morgan Private Bank. «Continuiamo a ritenere che l’attività sia stata solo rallentata. Rimaniamo dunque dell’idea che i rendimenti Usa potrebbero rialzarsi aiutando, in particolare, il dollaro a sovraperformare le valute dei Paesi del G10».