Quasi settecentomila posti di lavoro volatilizzati nel giro di soli tre mesi, subito dopo l’esplosione della crisi nel 'settembre nero' 2008. È il primo allarmante bilancio sugli effetti della recessione in Europa. Le cifre arrivano da Eurostat e riguardano appunto l’ultimo trimestre dello scorso anno, quando l’onda innescata dal crollo delle Borse e dalla tempesta finanziaria ha cominciato tracimare sull’economia in «carne ed ossa». Con effetti rapidi e brutali: i soli Paesi dell’Euro hanno visto calare i posti di lavoro di oltre 450mila unità rispetto ai tre mesi precedenti. In Italia il ciclo era già debole e l’effetto è stato meno marcato che altrove (-0,1% di occupati a fronte del -0,3% europeo sul trimestre prima). Ma il conto della crisi nel nostro Paese, lancia l’allarme la Cgil, deve essere ancora in buona parte pagato e il peggio arriverà nei prossimi mesi. Secondo l’Ires, il centro studi del sindacato guidato da Guglielmo Epifani, in Italia andranno in fumo quasi 350mila posti di lavoro nel 2009. Altri 200mila spariranno l’anno prossimo. Un’ecatombe che spingerebbe l’indice di disoccupazione prima al 9 e poi al 10%, percentuali che non si vedevano più da parecchi anni: rispetto al 2007 ci sarebbero così circa un milione di disoccupati in più. Nello scenario a tinte fosche dipinto dalla Cgil l’economia italiana dovrà sopportare un calo del Pil pari al 4% nel triennio 2008-2010. L’anno in corso sarà il più duro di tutti, con la ricchezza nazionale in decremento di circa tre punti (dopo il -1% del 2008) e un avvio della ripresa solo a partire dalla metà del prossimo anno (che si chiuderebbe vicino allo zero). Sul piano dell’occupazione gli effetti più pesanti, sempre secondo il sindacato, si faranno sentire sull’area del lavoro instabile, una platea valutata in circa 3,4 milioni di persone (comprendendo contratti a termine, co.co.pro e i disoccupati da meno di un anno): un mondo che la crisi potrebbe allargare ancora, anche perché quando le aziende ricominceranno ad assumere presumibilmente si cauteleranno con contratti a scadenza. A fronte dell’acuirsi della recessione la Cgil rilancia un intervento straordinario sugli ammortizzatori sociali, da finanziare, «dato che secondo il governo non ci sono altri soldi », con un prelievo fiscale extra sui redditi più alti. L’organizzazione quantifica in circa 1,5 miliardi il gettito che sarebbe raccolto aumentando (sulla falsariga di quanto propone il Pd) dal 43 al 48% l’aliquota più alta su chi guadagna oltre 150mila euro l’anno. Una cifra sufficiente a finanziare tre interventi: l’estensione dei requisiti per avere l’indennità di disoccupazione (oggi copre solo il 26% di chi perde il lavoro); il raddoppio della platea dei parasubordinati che otterranno il bonus predisposto dal governo e l’aumento dell’assegno (dal 20 al 40% del reddito); infine, l’incremento di circa 200 euro mensili della cassa integrazione. La Cgil rilancia anche la polemica con il governo sull’entità delle risorse stanziate effettivamente contro la crisi giudicandole insufficienti, in assonanza su questo punto con Confindustria. Secondo il presidente dell’Ires Agostino Megale, i fondi effettivamente spendibili arrivano a circa 4,5 miliardi comprendendo il bonus per le famiglie e gli incentivi auto. Quanto agli «otto miliardi in due anni per gli ammortizzatori sociali mancano il decreto attuativo e i protocolli d’intesa con le Regioni. Per ora sul fondo ci sono solo 130 milioni».