mercoledì 26 giugno 2024
Suez, Panama, ma anche Malacca e Hormuz: se si bloccano, avverte Assagenti, il "biglietto" lo pagheranno i consumatori
Una nave cargo passa nei pressi del porto di Baltimora, negli Stati Uniti

Una nave cargo passa nei pressi del porto di Baltimora, negli Stati Uniti - Reuters

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Non sempre se si chiude una porta si apre un portone. Da quando navigare nel Golfo di Aden è diventato pericoloso, per via dei ribelli yemeniti, il prezzo di un container sulla tratta Shanghai-Genova è passato da 1.400 a 6.000 dollari. La nuova rotta che evita Suez allunga il viaggio di altrettanti chilometri; tanti ne servono per passare attraverso il Capo di Buona Speranza. Il biglietto lo pagheranno i consumatori: dal solo canale di Suez passa il 12 per cento del traffico mercantile mondiale (che vale 14,2 migliaia di miliardi di dollari) e il 40 per cento di quello nazionale.

Il ministro del Mare, Nello Musumeci, ammette che «non si possono dare risposte e non si può disegnare una previsione a medio e lungo termine ». Tuttavia, il reshoring in atto nei Paesi del Nord Africa apre nuove opportunità al nostro Paese e il governo invoca una politica euromediterranea più convinta. Suez è solo uno dei “choke points”. Sono i colli di bottiglia del mare, passaggi stretti e obbligati tra gli Oceani. Chi li controlla, controlla i commerci. Bloccarli genera dei costi, che ricadono sulle popolazioni più vulnerabili. Egitto e Nigeria saranno interamente dipendenti dalle importazioni di cereali entro il 2050, mentre Russia e Canada beneficeranno della maggiore domanda. Ad ogni “porta” che si chiude, chi ha fame sta peggio.

Ieri, Assagenti ha dedicato la propria assemblea di Genova a discutere l’importanza di queste strozzature, in un mondo che conta 50 guerre. Possono fermare da un momento all’altro più dell’80% dell’interscambio commerciale. Secondo il Centro Giuseppe Bono, che ha stilato il rapporto su traffici e conflitti, quasi il 50 % delle aree strategiche, attraverso le quali i traffici transitano, è a rischio. Non solo a causa dei conflitti. La siccità, ad esempio, limita l’operatività nel canale di Panama; anche uno sciopero locale può generare un effetto domino. Senza che ci sia una superpotenza in grado di fermarlo: «anche l’impegno degli Usa risulta del tutto inadeguato » afferma il rapporto. Aggiungendo che «in alcune crisi si potrebbe usare la rotta artica, che però passa interamente in territorio russo».

Sono 13 le strozzature planetarie, 8 delle quali davvero strategiche. Sono il Canale di Suez, tra Mediterraneo e Mar Rosso, il Canale di Panama, che taglia in due l’America centrale, lo Stretto di Malacca, nel sud est asiatico, lo Stretto di Hormuz, fra Golfo Persico e Golfo di Oman, lo Stretto di Gibilterra, di passaggio tra il Mar Mediterraneo e l’oceano Atlantico, l’accoppiata Bosforo e Dardanelli, che permette il collegamento tra Mediterraneo e Mar Nero, lo Stretto di Bab-el-Mandeb, tra Mar Rosso e Golfo di Aden e il Capo di Buona Speranza, sulla punta meridionale dell’Africa. Esistono poi choke point secondari, tra cui la rotta artica e lo Stretto di Sicilia, ultimamente molto frequentato dai russi.

Per avere un’idea degli interessi in gioco, bisogna sapere che il 55% di grano, mais, riso e soia transita attraverso i choke point: quasi 400 milioni di tonnellate di grano sui 784 milioni di produzione mondiale e circa 390 milioni su 741 milioni di tonnellate di riso prodotto. Oggi, con le due guerre “vicine”, in Ucraina e in Medio Oriente, almeno cinque choke point sono in bilico, tra Mar Nero, Mar Rosso e Mediterraneo, e un singolo atto di pirateria può innescare una carestia. Il Sud del mondo è la vittima predestinata di queste tensioni.

«L’Europa ha delle responsabilità – ha commentato Musumeci –: è stata miope verso il continente africano». Ma non rischiano solo gli africani, perché esistono anche dei choke point sommersi. Nel Mar Rosso quattro cavi di comunicazione sottomarini tra l’Arabia Saudita e Gibuti sono stati messi fuori uso: «sedici di questi cavi sottomarini per la trasmissione dei dati passano per 1.200 miglia attraverso il Mar Rosso prima di salire sulla terraferma in Egitto e raggiungere il Mar Mediterraneo, collegando l’Europa all’Asia. Negli ultimi due decenni questa rotta è diventata uno dei maggiori punti di strozzatura di Internet al mondo e, probabilmente, il luogo più vulnerabile della rete» afferma il rapporto.

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