L’indicazione dell’Agenzia delle Entrate ai propri uffici di avere attenzione, ai fini degli accertamenti fiscali 'sintetici', per alcune spese dei contribuenti, come quelle per l’istruzione privata «non ha assolutamente l’intento di qualificare le spese per l’istruzione come un genere di lusso né che il loro sostenimento sia sempre e comunque indice di una particolare agiatezza economica. Le spese in questione vengono infatti prese in considerazione solo qualora siano di ammontare particolarmente rilevante». Lo precisa in una lettera il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, sottolineando che l’attenzione è sulle scuole «esclusive» che richiedono «significative disponibilità economiche». «È ovvio – rileva ancora Befera – che nessuno pensa di equiparare chi sostiene le spese più alte a un evasore fiscale». In ogni caso «la libertà di educazione dei propri figli non è proprio in discussione». «Una retta scolastica di poche centinaia di euro – fa notare Befera – è com- patibile anche con redditi di non elevato ammontare, mentre l’iscrizione a scuole esclusive e particolarmente costose richiede significative disponibilità economiche ». Ma non spiega che cosa siano le «scuole esclusive» di cui parla, termine vago quanto quello di «scuole private». La precisazione dell’Agenzia delle Entrate arriva dopo che mercoledì scorso Avvenire aveva per primo dato spazio alla lettera aperta di nove associazioni – cattoliche e laiche – rappresentative del mondo scolastico paritario (Agesc, Fidae, Agidae, Cnos-Fap, Ciofsscuola, Fism, Foe-Cdo, Aninsei e Msc), che, riferendosi alla circolare dell’Agenzia delle Entrate dello scorso 6 aprile, inserisce tra i servizi di lusso anche le scuole 'private'. «Prendiamo atto della precisazione dell’Agenzia delle Entrate – spiega Maria Grazia Colombo, presidente dell’Agesc –. Condividiamo la lotta all’evasione fiscale, ma ribadiamo che bisogna fare chiarezza, poiché la circolare sembra comunque mettere sullo stesso piano servizi per il tempo libero e servizi educativi, puntando il dito contro le famiglie che mandano i figli nelle scuole cosiddette private. È necessario che venga chiarito a quali scuole si riferisce la circolare dell’Agenzia quando parla di 'scuole private', termine che non ha riferimenti legislativi. Ci si augura che queste indicazioni non intendano segnalare le scuole paritarie che, secondo la legge 62/2000, fanno parte del sistema nazionale pubblico di istruzione». «In un momento così grave di crisi morale ed economica – si chiede la Colombo – in cui le famiglie stanno cercando di sopperire a uno Stato inadempiente circa il riconoscimento della libertà di educazione, garantita invece in tutti i Paesi europei, cosa vuol dire evidenziare quale indicatore di situazioni 'di lusso' la frequenza a 'scuole private'?». «In ogni caso – conclude la presidente dell’Agesc – vogliamo essere costruttivi. Occorre, però, fare chiarezza: si tratta di una questione culturale e di un pregiudizio nei confronti di quelle scuole che fanno risparmiare allo Stato. Purtroppo in Italia esiste ancora un sistema centralista, che non tiene assolutamente conto della sussidiarietà».