mercoledì 7 febbraio 2024
Dietro le voci (smentite) della fusione tra Stellantis e Renault
Il marchio di Stellantis

Il marchio di Stellantis - Ansa

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Con un comunicato breve e quasi infastidito, John Elkann – che, anche se non risulta sempre evidente, è comunque e ancora il presidente di Stellantis – ha smentito le ricostruzioni di stampa su una possibile aggregazione del suo Gruppo con Renault o altri operatori del settore. Ma il senso, o forse la necessità, di una mossa del genere resta.

È il mercato dell’automobile prima di tutto a suggerirlo, nel momento in cui lo strapotere della Cina e le derive delle scelte europee in favore dell’elettrico hanno messo alle strette i grandi costruttori europei. In questo contesto tornano in mente le parole del compianto Sergio Marchionne quando era amministratore delegato della Fiat, che nel 2008 prevedeva come in futuro sarebbero rimasti solo cinque grandi marchi, con l’eliminazione di tutti gli altri. O quelle pronunciate durante un convegno a Washington: «Spero che non compriate la 500 elettrica, perché ogni volta che ne vendo una perdo 14.000 dollari. Sono abbastanza onesto da ammetterlo… ».

Era il 25 maggio di dieci anni fa, e mai una previsione fu tanto drammaticamente azzeccata. Che un altro, grande consolidamento dopo quello che ha fuso il Gruppo Psa con Fca sia probabilmente inevitabile, lo ha indirettamente ammesso pochi giorni fa anche Carlos Tavares. Per l'ad di Stellantis, negli ultimi tre anni il panorama automobilistico è andato incontro a un “cambiamento significativo” determinato dall’offensiva cinese sull’elettrico, rafforzata dal loro ampio vantaggio di costi. Ed è fatale che chi non può produrre vetture 100% a batteria non competitive in termini di prezzi si trovi spiazzato sul mercato. Stellantis ha numeri forti in Europa in fatto di volumi, mentre Renault che ha creato Ampère – una divisione autonoma dedicata all’elettrico – e scorporato le attività tradizionali, ha dovuto rimandare l’ingresso in Borsa della nuova creatura ma ha probabilmente anticipato i tempi di una proficua trasformazione epocale. Logico dedurre che se accoppiati entrambi i Gruppi avrebbero vantaggi in termini di economie di scala. E che comunque la realtà potrebbe presto tramutare in obbligatoria quella che oggi sembra solo una scelta.

Non si tratterebbe comunque di una svolta inedita, visto che nel 2019 Fca annunciò il matrimonio proprio con Renault che venne fermato dal governo francese e dalla resistenza della Nissan, poi sfociato nella fusione con Peugeot-Citroen e alla successiva nascita di Stellantis. Sullo sfondo di queste grandi manovre, per ora solo ipotizzabili, c’è la realtà di un rapporto sempre più conflittuale (anche se ufficialmente collaborativo) tra Stellantis e il nostro governo, fatto di battute e risposte, allusioni e rimandi che non servono a nessuno e soprattutto rallentano l’indispensabile processo di ottimizzazione della produzione nel nostro Paese. Ieri Elkann è stato ricevuto a Roma dal presidente Mattarella e dal ministro dell’Economia, Giorgetti, per smorzare i toni dei giorni scorsi.

In sostanza, il governo non aveva accettato i rimproveri ricevuti da Tavares secondo il quale l’Italia non fa abbastanza per proteggere i posti di lavoro introducendo sussidi insufficienti sull’acquisto delle auto elettriche. E risponde sempre più infastidito all’interlocutore non perdendo occasione per ricordare i favori che la politica ha storicamente concesso a chi costruisce auto in Italia. Del resto, è giusto ricordare che gli incentivi sull’elettrico ci sono eccome, anzi avanzano in gran parte, e che pochi ne approfittano perché guidare a batteria resta un privilegio di nicchia. E che - come ha detto il ministro Urso - se i cittadini italiani preferiscono acquistare auto prodotte all’estero piuttosto che quelle costruite in Italia a fronte di condizioni di mercato e incentivi simili, la responsabilità non pare del governo, ma di Stellantis.

Dove Urso invece sembra centrare molto meno la questione è riguardo alla fantasiosa possibilità (su invito, per giunta) di un ingresso del governo nell’azionariato del Gruppo per difendere gli interessi nazionali, come ha fatto la Francia che possiede il 6,1% di Stellantis. All'Italia entrare nel capitale di Stellantis, magari acquisendo la stessa quota dell’omologo francese, secondo stime accreditate costerebbe oltre 4 miliardi di euro, considerando che attualmente il Gruppo conta su una capitalizzazione di mercato di oltre 67 miliardi. Risorse che non ci sono, e che non cambierebbero quasi nulla in termini di vantaggi per le nostre fabbriche.

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