mercoledì 26 giugno 2024
L'accordo del 2021 all'Ocse sull'aliquota del 15% prevedeva di arrivare all'intesa entro il 30 giugno 2024. Ma gli Stati Uniti sono troppo divisi e senza il loro via libera non si va avanti.
La tassa minima globale sulle imprese rischia di saltare
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Ancora un paio di giorni, poi sarà tempo di prendere atto del binario morto su cui è andata a incagliarsi la global minimum tax, l’imposta minima del 15% applicabile a tutte le grandi multinazionali e che dovrebbe colpire in particolare le aziende del Big Tech. Nata con l’obiettivo, tra l’altro, di ridistribuire i profitti di giganti come Amazon e Meta nei Paesi in cui risiedono i consumatori che acquistano i loro beni e servizi e non solo nei paradisi fiscali più convenienti, la tassa minima globale rischia di essere l’ultima vittima della paralisi legislativa di Washington, dove un Senato spaccato rende di fatto impossibile l’adozione dell’accordo mediato dall’Ocse e stipulato nel 2021 da oltre 130 Paesi, tra cui gli stessi Stati Uniti. La scadenza, autoimposta, è quella del 30 giugno: senza l’adesione di Washington al trattato globale di attuazione, il testo sulla tassazione delle società digitali resterà solo sulla carta.

Un’eventualità che per molti è già realtà. Tanto che, fa notare il Financial Times, diversi Paesi tra cui il Canada hanno rotto i ranghi e iniziato a introdurre unilateralmente tasse contro i grandi gruppi tecnologici, un passo che l’accordo internazionale avrebbe dovuto evitare e che potrebbe innescare una battaglia fiscale globale. Per il sì di Washington servirebbe una maggioranza di due terzi in Senato, obiettivo impossibile da raggiungere, vista la contrarietà dei repubblicani, che possono contare su 49 dei 100 seggi. Pesano, naturalmente, le lobby delle multinazionali, pesa anche la contesa da campagna elettorale permanente. «Senza la ratifica Usa saremo davanti a una vittoria di Pirro – ammette Alan McLean, a capo del comitato tasse dell’Ocse – avremmo fatto qualcosa, ma senza alcun effetto».

I Paesi coinvolti nei colloqui sulla global minimum tax avevano siglato nel 2021 una moratoria per vietare l’imposizione di tasse sui servizi digitali mentre i negoziati internazionali continuavano, ma questa moratoria scade il 30 giugno, data entro cui l’Ocse mirava alla firma del trattato di attuazione. L’accordo avrebbe bisogno dell’approvazione da parte dei Parlamenti di almeno 30 Paesi che ospitano le sedi centrali di almeno il 60% delle circa 100 aziende interessate, un requisito che non può essere soddisfatto senza la partecipazione degli Stati Uniti. Gli osservatori prevedono che il fallimento riaccenderà la battaglia fiscale, mentre i vari Paesi applicheranno tasse nazionali unilaterali. Oltre al Canada, si stanno già muovendo Nuova Zelanda e Kenya, ma il rischio è il caos. Di più: le singole norme nazionali rischiano di non avere grande successo, considerato quanto sia complicato stabilire con esattezza i luoghi di tassazione delle aziende digitali. Il dumping fiscale, inoltre, resterebbe all’orizzonte. Al recente G7, i leader si erano detti impegnati a finalizzare il lavoro dell’Ocse entro fine mese, ma non ci sono stati grandi progressi.

L’approccio dell’accordo del 2021 è costituito da due “pilastri”: il primo riguarda la tassazione degli utili delle multinazionali, dando il giusto peso ai Paesi in cui avviene la commercializzazione dei loro beni e servizi, per evitare lo spostamento dei profitti in paesi con imposte più basse. Le disposizioni si applicano alle multinazionali con ricavi globali superiori a 20 miliardi di euro e con un utile lordo superiore al 10 per cento degli stessi: è il pilastro su cui ci si è quasi da subito incagliati.

Il secondo pilastro è la Global minimum tax del 15%, sulle multinazionali con ricavi superiori a 750 milioni di euro, entrata in vigore in Italia lo scorso 1° gennaio sulla base della direttiva Ue votata all’unanimità dai Ventisette nel dicembre 2022. L’obiettivo è di garantire che le multinazionali paghino la loro giusta quota di imposte (15 per cento) indipendentemente da dove operano, impedendo la loro concentrazione in Paesi con tasse molto basse, come Apple in Irlanda o Amazon in Lussemburgo. Molti osservatori ritengono peraltro che la concorrenza fiscale possa continuare, a colpi di generosi crediti d’imposta e altre deduzioni che riducono di fatto l’aliquota fiscale al di sotto del 15%. Secondo l'Ocse, la global minimum tax produrrebbe, se applicata su scala globale, un gettito fiscale aggiuntivo di 220 miliardi di dollari nei Paesi coinvolti. Miliardi che rischiano di restare solo un miraggio.

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