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«Con l’accordo politico raggiunto a livello europeo il 7 dicembre su un pacchetto di regole sull’intelligenza artificiale mi sembra che si sia trovato un buon punto di equilibrio, perché viene preservata la possibilità di fare ricerca e, allo stesso tempo, a vari livelli si prevede la possibilità di mettere dei limiti progressivi sulle applicazioni potenzialmente impattanti sulla privacy, sulle libertà personali e sulle capacità che le IA generative possono avere di influenzare i comportamenti delle persone».
Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto italiano di Tecnologia (IIT), considera che con l’IA Act si siano poste le basi per costruire «un impianto normativo bilanciato», ora però c’è una sfida altrettanto importante da affrontare: «Oltre a fissare le regole, l’Ue deve essere più proattiva per lo sviluppo di algoritmi e di sistemi proprietari europei di IA, altrimenti rischiamo di soccombere di fronte a quella che finora è una tecnologia prodotta principalmente negli Stati Uniti e in Cina».
Secondo lei quanto è alto il rischio che l’Europa reciti un ruolo passivo nella partita sull’intelligenza artificiale?
Il rischio esiste, è inutile negarlo. Anche perché è chiaro che gli investimenti da mettere in campo per essere competitivi nello scacchiere internazionale sono considerevoli. Ci sono alcuni aspetti però che fanno ben sperare. In Europa, per esempio, abbiamo un’ottima capacità di calcolo, basti pensare al super computer europeo che ha sede al Tecnopolo di Bologna. Inoltre possiamo contare su risorse professionali di alta qualità. Certo, ne servirebbero di più. Ecco perché in questo senso è imprescindibile stanziare un maxi-investimento nella formazione che consenta di trattenere in Europa i migliori talenti, senza farli emigrare verso le grandi aziende americane.
Per avere possibilità di incidere nello sviluppo delle tecnologie che cosa deve fare l’Europa?
Gli Stati membri dell’Unione Europea sono chiamati a fare rete. Ci sono alcuni programmi ma sono frammentati, dispersi in troppi rivoli. Manca un “champion” come è stato OpenAI negli Usa. In Francia è nato il laboratorio europeo di ricerca sull’IA, Kyutai, ma bisogna capire se c’è la possibilità di supportarlo al meglio per farlo diventare un’infrastruttura europea e non solo una start-up francese. È un buon segnale che Paesi come Francia, Germania e Italia si stiano confrontando su questo argomento, ma bisogna creare maggiori sinergie.
Con quale obiettivo?
L’Europa a metà del secolo scorso ha fondato il Cern, il più grande laboratorio al mondo che svolge la ricerca scientifica sulla fisica delle particelle elementari. Ecco, bisognerebbe creare le condizioni per costruire un Cern europeo dell’IA, una casa comune in cui persone di talento possano lavorare e fare massa critica per sviluppare algoritmi. Lo scopo deve essere quello di costruire sistemi intelligenti e affidabili con un approccio etico e che rispecchi i valori europei. Recentemente c’è stata una call europea chiamata “Value Aware artificial intelligence”, per lanciare progetti di ricerca che consentano di sviluppare un pacchetto di strumenti per costruire algoritmi di IA consapevoli dei valori. Ma siamo solo all’inizio del percorso.
In Italia la percezione dell’importanza di non rimanere marginali nella sfida della IA quanto è sentita?
Sul piano scientifico è molto alta, come è forte la sensazione che stiamo rincorrendo i grandi gruppi americani e cinesi, per cui recuperare terreno non è facile. Tra accademici e ricercatori, tuttavia, c’è anche una diversità di vedute. Per cui spetta al decisore politico fare una sintesi e poi stabilire quali iniziative portare avanti. Qualcosa di concreto si comincia a vedere, visto che a Torino dovrebbe nascere un centro di IA. Certo, si dovrebbe fare molto più velocemente.
Trova che sul piano nazionale sull’IA si sia parlato più dei rischi che delle opportunità?
A livello mediatico sicuramente. Ma è giusto che si parli anche dei rischi. Essendo una tecnologia molto potente, del resto, anche l’IA si porta dietro alcune controindicazioni. Il pericolo principale da evitare è quello di usarla male. Allo stesso tempo però vanno considerate anche le enormi opportunità di sviluppo che possono esserci con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in tantissimi campi.
In quali settori in particolare l’IA può avere un impatto rivoluzionario?
Dall’elettronica alla manifattura, passando per l’efficientamento delle aziende le potenzialità sono notevoli. Ma l’IA è lo strumento più efficace e potente per aiutarci ad affrontare soprattutto le sfide della transizione ecologica e quella della salute. Nel primo caso l’utilizzo dell’IA può favorire la produzione di energia pulita, anche attraverso la scoperta di nuovi materiali, e in generale aiutare a migliorare l’efficienza delle tecnologie verdi. Sul piano della salute, inoltre, l’intelligenza artificiale promette di cambiare il modo in cui ci curiamo. Basti pensare allo sviluppo di nuovi farmaci, visto che con la sperimentazione in silico grazie all’IA è possibile capire se una molecola è efficace o meno con un notevole risparmio di tempo rispetto al passato. Ovviamente anche per l’automazione il contributo è notevole, visto che gli algoritmi che controllano i robot sono sempre più di IA.
Come IIT che uso fate oggi dell’IA e quali programmi avete per il futuro?
Abbiamo iniziato ad applicare l’IA alla robotica attraverso uno sviluppo parsimonioso, nel senso che ci siamo preoccupati soprattutto di avere algoritmi efficienti e tarati per essere utilizzati nel controllo in tempo reale dei robot con applicazione nell’automazione dei processi industriali. Più recentemente abbiamo iniziato a sviluppare simulazioni sofisticate per studiare interazioni tra molecole biologiche e per la scoperta di nuovi materiali. Pochi giorni fa il progetto realizzato da IIT-Inail “ErgoCub” è stato premiato al summit internazionale “Global partnership on Artificial Intelligence” a Nuova Delhi per la capacità di sviluppare nuove tecnologie basate sull’uso dell’IA per la salute dei lavoratori e lavoratrici di domani, in modo etico, sostenibile e affidabile. Inoltre, proprio qualche giorno fa la nostra startup Iama Therapeutics, nata dalla ricerca di base nel campo delle neuroscienze, ha avuto l’approvazione per iniziare i testi clinici di un nuovo farmaco progettato grazie a IA e al nostro supercomputer per ridurre il ritardo cognitivo in soggetti nello spettro dell’autismo. Nel piano strategico che presenteremo a inizio 2024, dunque tra poche settimane, come IIT prevediamo un investimento diretto nell’IA tra infrastrutture e formazione di 150 milioni nei prossimi 6 anni, ovvero il 15% del costo dell’intero istituto.
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