Tante 'buone pratiche' in una. Perché ci sono il coraggio di 31 dipendenti che hanno reinvestito il Tfr dopo la chiusura dell’azienda in cui erano assunte, il sostegno di un imprenditore co-finanziatore della nuova avventura, un ente locale che ha premiato questi sforzi aggiungendo altri fondi e anche la storia di un migrante assunto «per competenze, non per compassione». È il classico successo di squadra quello della Sartoria Eugubina di Gubbio, in Umbria, che rientra tra i 542 casi esemplari esaminati alla Settimana sociale in corso a Cagliari. In effetti i valori positivi non mancano. Come dimostra la soluzione organizzativa che ha fatto sbocciare una nuova impresa dalle ceneri di un fallimento. Il meccanismo utilizzato ricorda la prassi dei 'workers buyout', ma con qualche differenza.
«La nostra è un’azienda nuova di zecca sotto forma di Srl, con 31 sarte che sono allo stesso tempo dipendenti e proprietarie di quote», racconta il fondatore Rudy Severini, che ha creduto e investito sulla riuscita del progetto. Il capitale di partenza con cui si è avviata l’attività nel 2015 è stato di 100mila euro, a cui si sono aggiunti i soldi pubblici della Regione. A distanza di due anni l’esperimento condiviso può dirsi riuscito: «Abbiamo raddoppiato il personale, ora siamo arrivati a 60 occupati. Anzi, sarebbe meglio definirle occupate, al femminile, visto che sono 56 donne e 4 uomini». Grazie alle capacità professionali acquisite in anni di esperienza nel settore delle 'dipendenti-socie', oggi Sartoria Eugubina è specializzata in produzione dei cosiddetti 'capispalla', dai cappotti alle giacche.
«Lavoriamo come terzisti per brand come Cucinelli, Cavalli, Gucci e ultimamente ci stiamo specializzando anche sul servizio su misura », aggiunge Severini. Si punta a crescere ancora. E di conseguenza l’intenzione è quella di aumentare i livelli occupazionali. Uno degli ultimi acquisti nel personale, intanto, è Seku Quattara, 40enne migrante del Burkina Faso giunto in Italia dopo uno degli infiniti viaggi della speranza sui barconi. «Seku era ospite del centro 'Aratorio', dove si coniuga l’accoglienza con lo spirito di condivisione dato dal lavoro della terra, quando è venuto da noi per un periodo di prova – racconta il fondatore –. Aveva imparato a cucire già nel suo Paese e si vedeva che era pratico, per cui dopo un test di qualche mese si è meritato un contratto».