Carenza di personale nelle rsa durante il lockdown - Ansa
Un patto formativo e una rivoluzione culturale per superare la carenza di personale sanitario di cui soffre l’Italia, resa drammaticamente visibile dallo tsunami causato dalla pandemia. Infermieri, operatori socio-sanitari e assistenti di base sono insufficienti e i centri per anziani si sono trovati in difficoltà perché molti lavoratori sono stati reclutati nel settore pubblico. Stefano Granata, presidente di Federsolidarietà, il ramo delle cooperative sociali di Confcooperative di cui fanno parte 6.225 realtà, é convinto che serva un piano strategico a medio termine che tenga conto dell’invecchiamento costante della popolazione da una parte e della domiciliarizzazione delle cure dell’altra. I due terzi delle cooperative di Federsolidarietà operano nel settore socio sanitario ed educativo, di queste tremila sono in prima fila nell’assistenza agli anziani con oltre 150mila dipendenti. Nella stragrande maggioranza si tratta di donne. «Molte nostre cooperative gestiscono centri residenziali per anziani e hanno vissuto mesi molto difficili – spiega Granata –. All’inizio mancavano i dispositivi per proteggere i lavoratori e gli ospiti, perché hanno avuto la precedenza le strutture ospedaliere. È stata un’impresa ardua evitare il dilagare della pandemia. Poi la situazione si è regolarizzata ma sono emersi i problemi strutturali. Gli operatori si ammalano ed è difficile trovare dei sostituti». I motivi sono sostanzialmente due. I corsi di formazione sono particolarmente lunghi, servono due anni per diventare Oss e la laurea breve in scienze infermieristiche, con accesso a numero chiuso, sembra essere poco gettonata rispetto a quella in medicina. Negli ultimi anni infatti si è registrata una flessione nelle iscrizioni. Di contro Asl e ospedali, grazie a risorse extra messe a disposizione dallo Stato, hanno assunto nuovo personale attingendo dalle cooperative e dalle strutture private. Un esodo che ha creato un problema enorme e fatto emergere la carenza di personale.
La proposta di Granata è quella di reinvestire in formazione, avviando dei corsi aggiuntivi in accordo con lo Stato. Per formare 15-20mila operatori. Un percorso lungo, per il quale ci vorranno almeno tre o quattro anni. Indispensabile poi agire anche a livello culturale per far capire ai giovani che questi mestieri di cura saranno sempre più richiesti e non sono meno importanti di quelli d’ufficio. «Va fatto un lavoro culturale anche sulle famiglie – aggiunge il presidente – se si vogliono avere interventi domiciliari e assistenza da parte di persone professionali e affidabili si deve essere disposti a spendere, a fare dei contratti regolari che prevedano anche, come nel caso dei servizi offerti dalle nostre cooperative, le sostituzioni delle badanti».Per sopperire alla carenza di personale si dovrebbe agire sul riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero magari attraverso dei corsi di abilitazione per gli stranieri (già oggi nei nostri ospedali ci sono molti infermieri che arrivano dall’estero) e prevedendo per chi non ha competenze specifiche la possibilità di impiego come assistente di base. «Sono numeri importanti quelli che mancano, migliaia di persone. il mondo della cooperazione sociale è disposto a coinvestire ma lo Stato non può lasciarci soli» spiega Granata. Anche perché la domanda di lavoro di cura nei prossimi anni crescerà in maniera esponenziale per via dell’invecchiamento della popolazione.