giovedì 5 novembre 2015
Oxfam: a un anno dallo scandalo l'elusione è ancora diffusa.
I furboni dell'Eurofisco
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Esattamente un anno fa, il 4 novembre 2014, scoppiava il caso 'LuxLeaks', la rivelazione ad opera di un consorzio giornalistico delle gigantesche operazioni di elusione fiscale di numerose multinazionali (tra cui nomi celebri come Amazon, Ikea, Pepsi, Deutsche Bank,Vodafone, iTunes, Finmeccanica, Unicredit, Intesa San Paolo e molti altri) in Lussemburgo. Il tutto tramite i 'tax ruling', le decisioni fiscali anticipate rivelatesi fin troppo generose con queste società, avallando il trasferimento nelle sedi situate nel Granducato (con aliquote fiscali irrisorie) di utili realizzati altrove. Un anno dopo è tempo di tirare le somme: che lezione ne ha tratto l’Europa? L’ong Oxfam ha presentato ieri un rapporto in merito che soprattutto evidenzia le insufficienze della risposta europea. Non tanto della Commissione Europea (oggi guidata da colui che era premier lussemburghese ai tempi dei 'tax ruling' incriminati, Jean-Claude Juncker), ma soprattutto per le reticenze degli stessi Stati membri. L’elusione fiscale è un problema colossale, secondo stime dell’Ocse a livello mondiale ammonta a 240 miliardi di dollari l’anno. «A pagare le conseguenze di questo abuso fiscale – ha dichiarato Elisa Bacciotti, direttrice del dipartimento Campagne e Programmi in Italia di Oxfam – sono le fasce più povere della popolazione. Le entrate fiscali mancanti hanno inevitabilmente un impatto sulla spesa sociale di uno Stato: ridotti investimenti in istruzione, sanità, sostegno al lavoro». A inizio ottobre i Ventotto hanno trovato un accordo politico per uno scambio automatico di informazioni sui tax ruling (strumento di per sé assolutamente legale), che partirà dal 2017. Oxfam, a ragione, evidenzia però le lacune. Anzitutto non si tratta di uno scambio davvero 'automatico', visto che le informazioni verranno condivise solo entro tre mesi dal termine della metà dell’anno solare in cui il ruling è stato emanato. Inoltre sono escluse le informazioni su tax ruling relativi a investimenti nazionali o accordo sui prezzi con paesi extra-Ue. Soprattutto, è stato fortemente limitato il ruolo di supervisione della Commissione, che non avrà accesso completo alle informazioni scambiate, ma solo al mero dato statistico. Infine è stata ridotta la retroattività dello scambio di informazioni: anziché dieci anni come proposto dalla Commissione, solo cinque «evitando, guarda caso, il periodo coperto dai dossier LuxLeaks» commenta Oxfam. Al tempo stesso, è arenata in senso al Consiglio Ue (che rappresenta gli stati membri) una proposta di direttiva della Commissione per una definizione comune della base fiscale imponibile delle multinazionali. Una nuova proposta è attesa ora per il 2016. «Alle istituzioni europee e nazionali – dice Bacciotti – chiediamo di smettere di essere complici di pratiche di pianificazione fiscale aggressiva perpetrate dalle multinazionali a danno dei cittadini». Per questo Oxfam invoca «un quadro generale che promuova maggiore trasparenza nella rendicontazione delle grandi multinazionali operanti in Europa », che sia «paese per paese, obbligatoria e pubblica», e un potenziamento della cooperazione Ue «attraverso la definizione di una 'lista nera' comune dei paradisi fiscali ». Oxfam, infine, chiede la rapida introduzione di una base fiscale comune e consolidata con l’accelerazione della direttiva in merito.
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