lunedì 24 ottobre 2016
La direttiva Eba che ha cancellato i dazi sul riso che arriva da Paesi come il Vietnam o la Cambogia ha avuto l'effetto collaterale di mandare in crisi i risicoltori italiani
Una ripresa aerea di una risaia vercellese (Credit Andrea Cerchi)

Una ripresa aerea di una risaia vercellese (Credit Andrea Cerchi)

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Nell’immaginario collettivo il riso italiano è due cose: Silvana Mangano e il molinate. Sono passati decenni, le mondine di Riso Amaro non ci sono più e i diserbanti che alla fine degli anni Ottanta inquinarono la Pianura Padana oggi vengono distribuiti in dosi omeopatiche. Eppure, l’immagine storica della risicoltura – agricoltura “ricca” - impedisce di vederne la crisi, che è rischia di essere
fatale. Prendete il Carnaroli: in pochi mesi il prezzo all’origine è crollato da 100 a 52 euro al quintale. Gli agricoltori ne hanno coltivato troppo, perché le quotazioni delle varietà che si usano per i contorni e che sono coltivate un po’ ovunque nel mondo sono crollate molto prima, a causa delle importazioni dall’Asia. Oggi un riso indica vale intorno ai 30 euro, che rappresenta il break even del risicoltore: se sei bravissimo e anche un po’ fortunato pareggi i conti aziendali altrimenti finisci sotto. E’ così da anni, da quando cioè la direttiva Eba (Everything but arms) ha cancellato i dazi sui prodotti provenienti da alcuni Paesi Meno Avanzati, allo scopo di favorirne lo sviluppo.

Guerra tra poveri

Nel corso degli anni le importazioni di riso lavorato dalla Cambogia sono passate da poche migliaia a 367.000 tonnellate, creando ovvi scompensi sul mercato europeo e mettendo al tappeto la risicoltura italiana che è leader nell’Ue, ma, essendo concentrata in tre province ha un peso politico ridottissimo. Prova ne sia che l’Ente Nazionale Risi ha elaborato due dossier per dimostrare che i costi dei risicoltori sono superiori ai ricavi e che i guadagni prodotti dalla direttiva Eba non finiscono in tasca ai contadini cambogiani bensì a potenti gruppi commerciali: in altre parole, si impoveriscono gli agricoltori italiani senza sollevare dalla miseria quelli cambogiani. Entrambi i dossier sono finiti in un cassetto di Bruxelles e pochi mesi dopo è stato siglato un accordo bilaterale con il Vietnam che potrebbe riversare in Europa altre tonnellate di riso a prezzo super-scontato.


Resistere, resistere, resistere

L’Ente Risi ha annunciato che convocherà in gennaio a Milano tutti i paesi produttori di riso dell’Unione europea per far fronte comune contro gli aiuti ai Pma, che si riflettono sui prezzi del prodotto agricolo e molto meno su quelli del riso lavorato. Per tutta risposta, Bruxelles ha deciso di vietare il triciclazolo, un fungicida senza il quale i risicoltori italiani hanno perdite di raccolto
tra il 20 e il 30%. Una decisione che, oltretutto, divide risicoltori e industria alimentare: i primi premono affinché il triciclazolo sia vietato anche nel riso d’importazione, mentre la seconda è ovviamente contraria. Tra i risi asiatici che non potrebbero più essere venduti in Europa se passasse il veto totale non c’è però il riso cambogiano, ma il più blasonato (e costoso) riso Basmati.

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