Siamo probabilmente alla fine di un ciclo, anzi di un "superciclo", quello che ha visto i prezzi delle materie prime salire pressoché ininterrottamente negli ultimi 15 anni. Non solo l’oro (-36% dai massimi del 2011) ma anche metalli indispensabili per l’industria come il rame (-35%) e il minerale di ferro (-40%) hanno invertito la rotta. L’indice S&P Gsci di 24 materie prime ha ceduto dall’inizio dell’anno quasi il 5%, con l’indicatore relativo ai soli metalli industriali in discesa del 16%. Un cambio di scenario potenzialmente carico di conseguenze per l’economia mondiale, con i Paesi avanzati nel ruolo di vincitori e quelli produttori, il settore estrattivo e il relativo indotto nei panni degli sconfitti. Alla base di questa tendenza infatti ci sono fattori che potrebbero diventare strutturali, come il drastico calo della domanda da parte della Cina e il rafforzamento del dollaro. Già il mese scorso uno studio di Citigroup parlava di «campane a morto per il superciclo delle materie prime». Negli ultimi giorni alcune
commodities hanno ripreso quota sulle aspettative di un consolidamento della crescita americana. Ma un assestamento al ribasso appare inevitabile. La discesa dei prezzi si spiega innanzitutto con la frenata della domanda da parte delle economie emergenti e soprattutto della Cina. «Un gap che la domanda delle economie avanzate di Stati Uniti e Giappone, per quanto in recupero, non sarà in grado di compensare», spiegano gli analisti di Morgan Stanley nel "Global Metals Playbook" pubblicato in settimana.La Cina, con tassi di crescita a doppia cifra, è divenuta nell’ultimo decennio il maggiore consumatore di rame, ferro, gomma e zinco e il secondo importatore di petrolio. La frenata del Pil al 7,5% rischia però di mettere in discussione questi primati. Un altro fattore è rappresentato dal rafforzamento del dollaro, la valuta con cui sono denominate le materie prime, in ripresa sia per le mosse attese da parte della Federal Reserve sia per i progressi fatti dall’economia americana. Inoltre è presente un eccesso di offerta dovuto agli investimenti fatti dai produttori quando i prezzi, e dunque i margini, erano più elevati. Anche i fondi speculativi, che avevano contribuito all’impennata dei prezzi, si attrezzano ora per cavalcare la nuova tendenza, mentre nell’economia reale i primi a beneficiare del nuovo ciclo potrebbero essere i Paesi avanzati. Prezzi più bassi alla produzione consentirebbero infatti di consolidare il ritmo della ripresa economica. Resta invece un’incognita il prezzo del petrolio, la cui tendenza in questo momento è semmai al rialzo. Il prezzo, spiegano gli analisti di Barclays, continuerà a risentire di fattori geopolitici, a partire dalla crescente tensione fra l’Occidente e la Siria. Inoltre, nel caso del greggio, il peso della domanda cinese è inferiore se rapportato a quello di altre materie prime. «Nonostante le brutte notizie e la volatilità nei mercati emergenti a cui il petrolio è sempre più correlato, i prezzi hanno tenuto», si legge nel "Commodity Markets Outlook" della banca britannica. «Questo riflette in parte il fatto che la quota di domanda da parte dei Paesi non-Ocse è appena al 50%, mentre è al 65% per i metalli industriali, al 60% per il mais e oltre l’80% per i gioielli in oro».