Il logo di FTX davanti al palazzetto dello sport di Miami, una delle grandi sponsorizzazioni della società - Reuters
Non si può dire che Samuel Bankman-Fried non avesse avvertito. Nell’agosto dell’anno scorso, durante il seguito podcast finanziario Odd Lots, il trentenne miliardario fondatore di FTX aveva ammesso che il suo modello di profitto con le criptovalute era sostanzialmente basato sul nulla.
Prima creava «una scatola da decorare per farla sembrare un protocollo che cambia la vita, che rimpiazzerà tutte le grandi banche nel giro di 38 giorni o qualcosa del genere». Quindi metteva «qualcosa» in questa scatola, ad esempio criptovalute. Poi produceva gettoni digitali (i token) e prometteva ai clienti che «qualsiasi cosa di buono che uscirà da questa scatola apparterrà a chi ha comprato i token ». All’intervistatore che notava come questi gettoni in realtà non dovrebbero avere nessun valore, Bankman-Fried rispondeva così: «Riconosco che non è del tutto chiaro che questa cosa debba avere una capitalizzazione, ma empiricamente dico che una capitalizzazione ce l’ha». Tradotto: finché convinco qualcuno che questa «scatola decorata » vale qualcosa, il gioco funziona.
Il sistema messo in piedi da Bankman-Fried – o SBF, come preferisce farsi chiamare – è crollato la scorsa settimana: venerdì hanno dichiarato bancarotta il gruppo FTX (con 130 affiliate) e la società di investimenti Alameda Research, mentre le attività di FTX Digital Markets sono state congelate dalle autorità di Bahamas, dove è basata la società e dove SBF vive con una decina di amici. Il buco complessivo è stimato tra gli 8 e i 10 miliardi di dollari. Bankman-Fired era il volto più presentabile dell’opaco universo delle criptovalute: figlio di una coppia di professori di Stanford, laureato in fisica e matematica al MIT di Boston, progressista, vegano e grande finanziatore del Partito Democratico, che aveva sostenuto con 32 milioni di dollari alla vigilia delle elezioni midterm.
Aveva iniziato a lavorare nella filantropia per poi capire – raccontava – che poteva contribuire al bene comune più con il denaro che con il proprio tempo. Si è dedicato allora a fare soldi giocando cone le criptovalute. Nel 2017 ha creato la sua società di trading, Alameda, nel 2019 FTX, una borsa su cui scambiare criptovalute. Rapidamente FTX si è imposta come uno dei mercati delle criptovalute più popolari e solidi, capace anche di salvare rivali in crisi. Grandi fondi di venture capital come SoftBank, Temasek e Sequoia ci hanno investito 1,9 miliardi di dollari arrivando ad attribuire alla società, lo scorso gennaio, una valutazione di 32 miliardi. In un articolo celebrativo pubblicato sul suo sito e poi rimosso dopo l'esplosione della crisi, il fondo Sequoia raccontava come durante la presentazione della sua azienda agli investitori (entusiasti), Bankman-Fried stesse giocando al videogioco League of Legends sul suo smartphone.
Samuel Bankman-Fried, fondatore di FTX - Reuters
La sequenza di fatti che ha portato FTX sul baratro è emblematica della fragilità intrinseca di tutto il sistema della finanza decentralizzata, dove l’assenza di regole e trasparenza è quasi totale. Il 2 novembre CoinDesk sito di informazione di riferimento del settore, pubblica un’indiscrezione pesante: i 14,6 miliardi di dollari che Alameda dichiara di possedere, in realtà sono in gran parte FTT, cioè i token creati dalla borsa FTX per i suoi utenti. Con una società l’imprenditore stampava i soldi e li vendeva, in cambio di dollari veri, ai “clienti”. Con l’altra faceva trading, usando gli stessi soldi presi dai clienti.
A quel punto il cinese Chanpeng Zhao, fondatore di Binance (che pur non avendo mai chiarito dove sarebbe la sua sede legale è oggi la più grande borsa di criptovalute del mondo) annuncia che avrebbe venduto tutti gli FTT ottenuti dopo una fallita alleanza con FTX, perché non si fida più. In poche ore le quotazioni dei token crollano da 22 a 2,5 dollari. I “piccoli trader” che giocavano con le criptovalute su FTX, nel panico, chiedono indietro alla borsa 6 miliardi di dollari (veri) in tre giorni. La società rimborsa i primi investitori, poi blocca i prelievi perché i soldi non ci sono. Bankman-Fried ha bisogno di un salvatore. Martedì lui e Zhao annunciano un accordo a sorpresa: Binance avrebbe preso il controllo di FTX e protetto gli investitori. Mercoledì però il cinese annuncia su Twitter che ha cambiato idea: visti i conti di FTX e considerato il rischio di indagini in America l’operazione è troppo rischiosa. Venerdì la bancarotta, con i primi strascichi sospetti: è emerso che sono “spariti” centinaia di milioni di dollari in un «attacco hacker».
I fondi che hanno investito in FTX hanno presumibilmente perso tutto. I risparmiatori che ci giocavano a fare trading probabilmente anche, dipende da quanti dollari riusciranno a trovare i liquidatori. Per FTX Digital Markets, quella basata a Bahamas, i clienti hanno poche speranze: gli tocca trovarsi un avvocato bravo nell’isola caraibica. La caduta di FTX sta avendo un effetto a catena su tutte le criptovalute. Bitcoin ed Ethereum hanno perso il 20% in una settimana, Solana (che SBF aveva sempre sostenuto) in 7 giorni si è svalutata del 57%.
Crolla tutto, come succede ogni volta che emerge la distanza tra i soldi che qualcuno diceva di avere e quelli che aveva davvero. Senza controlli nascondere questa differenza è molto facile. Adesso negli Stati Uniti il congresso si sta muovendo per chiedere un’inchiesta approfondita su ciò che è successo a FTX e, più in generale, su tutto il settore delle criptovalute. Finalmente le autorità potrebbero andare a vedere che cosa contengono davvero le tante «scatole decorate» che hanno reso miliardari un po’ di ragazzini. Chissà se ci troveranno dentro qualcosa.