La Fondazione Mps ha puntato tutte le sue
fiche su Rocca Salimbeni e ha perso. Il tutto nel giro di cinque anni e mezzo, da quando, con il via libera all’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte per 10 miliardi, è iniziata la lenta agonia anche dell’Ente guidato da Gabriello Mancini. Per ora in fumo sono andati quasi quattro miliardi di patrimonio della Fondazione (nel 2011 a 1,3 miliardi dai 5,4 miliardi del 2010 e dai 2,7 miliardi del primo anno di esercizio, il 1996) senza considerare che, per difendere la senesità della Rocca, l’Ente ha messo in saldo quasi ogni altra partecipazione e nel 2011 si è perfino indebitata con un consorzio di 11 banche per 600 milioni di euro (tanto che buona parte della sua attuale partecipazione in Mps sarebbe in pegno alle banche creditrici).Quanto ai risultati, faticano a vedersi. I debiti sono rimasti, le perdite aumentano di anno in anno (331 milioni nel 2011) e il patrimonio dell’Ente è ormai legato per la quasi totalità all’andamento del Monte (si consideri che nel 2004 il 50,6% del Monte rappresentava solo il 38% del patrimonio della Fondazione) e quindi ancora di più a rischio di svalutazione. E neppure la senesità si può dire che sia completamente in salvo: in due anni circa la quota della Fondazione si è ridotta dal 50,6% al 33,5% (quota di blocco nelle assemblee straordinarie). E potrebbe ridursi ulteriormente, come l’istituto stesso annuncia in una nota. All’orizzonte ci sono le poltrone ben retribuite dei vertici della Fondazione in scadenza il 31 luglio. E il cui destino dipende, almeno in parte, dalle elezioni amministrative di primavera.I nuovi vertici della Fondazione non avranno comunque vita facile. Oggi l’istituzione si trova a dover affrontare i problemi del Monte e quelli relativi al suo debito (350 milioni di euro). E le risorse si stanno esaurendo. In questi cinque anni infatti, la Fondazione si è addossata un ingente carico pur di difendere la Rocca. Nel 2008, all’Ente è toccato mettere mano al portafoglio per 3,4 miliardi complessivi di cui 2,9 per l’aumento di capitale e altri 490 milioni di nominale sul titolo ibrido
Fresh emesso in quell’occasione (attualmente nell’occhio del ciclone visto che un altro mezzo miliardo è stato "rifilato" ad altre Fondazioni e rischia di trasformarsi da investimento allettante a pacco colossale, posto che il sottostante ormai è collassato e i rendimenti, collegati alle cedole del Monte, ultimamente sono dati per dispersi). Nel luglio di due anni fa l’istituto ha dovuto tirar fuori un altro miliardo. E altre ricapitalizzazioni si stagliano già all’orizzonte di un futuro quanto mai prossimo. Per liberare i mezzi necessari a sostegno della banca, la Fondazione ha ceduto quasi ogni altra partecipazione, ha venduto il 15% del Monte e alla fine è dovuta ricorrere al debito (caso più unico che raro per una Fondazione). Ormai l’obiettivo della Fondazione non può che essere come attesta la stessa istituzione «la riduzione (fino all’azzeramento) dell’indebitamento al fine di mettere in sicurezza la Fondazione e di tutelarne il patrimonio» anche attraverso «la cessione di ulteriori pacchetti della partecipazione in Mps, con relativa discesa della quota al di sotto della soglia del 33,5% del capitale». Tanti sforzi a difesa della senesità del Monte, per nulla.