venerdì 16 agosto 2024
Crescono i listini, con Milano al +2,21%, dopo i nuovi segnali positivi dall’economia americana. Attesa per Powell a Jackson Hole e le indicazioni sul taglio dei tassi
L’Europa crede nella ripresa Usa. Inflazione e consumi: su le Borse

ANSA

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Se la prima metà di agosto è stata all’insegna dei timori per una possibile recessione americana e delle Borse affacciate sull’orlo dello strapiombo, la seconda metà del mese – tradizionalmente il più volatile dell’anno – sembra ricacciare gli spettri all’indietro, anche sulla scorta di nuovi dati, questa volta più positivi, provenienti proprio dagli Stati Uniti. Sui listini europei e asiatici torna insomma a prevalere la fiducia, sostenuti dai future Usa e da stime macroeconomiche – come le vendite al dettaglio e l’inflazione americana per la prima volta in tre anni sotto al 3 per cento – che spianano la strada ai tagli della Fed a settembre. Milano (Ftse Mib +2,21 per cento a 33.040 punti) è tornata ieri sopra quota 33mila punti che non vedeva dallo scorso 31 luglio e finisce la giornata come migliore in Europa, avendo saltato la seduta di Ferragosto, che ha visto invece salire gli altri listini a partire da Wall Street. Più caute, ma comunque in positivo, Francoforte (+0,82 per cento), Parigi (+0,35 per cento) e Madrid (+0,54 per cento), mentre cede Londra (-0,45 per cento), frenata dal dato sulle vendite al dettaglio nel Regno Unito inferiori alle stime. Borse positive anche in Asia e Pacifico nell'ultima seduta della settimana centrale di agosto: Tokyo ha guadagnato il 3,64%, Taiwan il 2,07%, Seul l'1,99%, Hong Kong l’1,8% e Sidney l'1,34%. Apertura a -0,10% per il Dow Jones, ma dopo sei giorni di crescita.

Era stato il cupo rapporto sui posti di lavoro negli Stati Uniti a luglio uno degli elementi che - unito a uno scenario di pressing generale sulla Fed e al rialzo dei tassi di interesse da parte della Banca centrale del Giappone - aveva innescato una decina di giorni fa la reazione negativa dei mercati. Dagli Stati Uniti arrivano però ora segnali diversi, nonostante i dati negativi sull’edilizia invitino comunque alla prudenza. Le richieste di sussidi sono calate di 100mila unità in una settimana, mentre le vendite al dettaglio sono salite sia su base mensile (+1%, maggior incremento in due anni) sia su base annua (+2,66%). Gli americani continuano insomma a spendere – in auto, elettrodomestici, generi alimentari e mobili – in una spinta all'economia che aiuta a scrollarsi di dosso i timori di un'imminente recessione. Walmart, il più grande rivenditore al dettaglio del Paese, ha riportato utili superiori alle attese e ha alzato le previsioni per il resto dell'anno. «Tutti cercano di parlare di economia al ribasso, ma prestate attenzione a ciò che la gente sta facendo: stanno aumentando le spese – sottolinea Gus Faucher, capo economista di Pnc Financial Services Group –. È un'indicazione che l'economia rimane solida».

Incoraggianti anche i dati sull’inflazione, con i prezzi al consumo che a luglio sono saliti su base annua del 2,9%, sotto le attese degli analisti, mentre rispetto a giugno hanno segnato un incremento dello 0,2%. «Abbiamo vinto la battaglia contro l’inflazione. Ora è il momento per la Fed di tagliare i tassi», ha sottolineato l'ex vicedirettore del National Economic Council Bharat Ramamurti. La prossima riunione della banca centrale americana è in calendario il 17 e 18 settembre: la domanda, osservano diversi analisti, è se la riduzione sarà di 25 o 50 punti base. L'ultimo dato sull'occupazione Usa arriverà il 6 settembre.

Intravedendo un taglio, gli investitori attendono impazienti Jerome Powell al simposio annuale della Fed a Jackson Hole, venerdì prossimo. Il presidente della Banca centrale Usa indicherà le prossime mosse, incluso un possibile taglio a settembre. Una decisione che Powell potrebbe essere chiamato a difendere dal punto di vista politico: se da un lato, infatti, i democratici chiedono una rapida riduzione del costo del denaro per sostenere l'economia ed evitare una possibile recessione, i repubblicani guidati da Trump hanno già esortato la Fed a non toccare il costo del denaro. Farlo – a loro avviso – significherebbe favorire i democratici e, quindi, interferire con le elezioni presidenziali di novembre.

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