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Quando il sole picchia e le temperature salgono, c’è chi non aspetta altro che stendersi sotto l’ombrellone di una località balneare e chi invece si prepara a lunghissime settimane di di turni. È la prospettiva dei lavoratori delle sostituzioni estive, quelli che in uffici, supermercati, redazioni, ospedali e ditte di pulizia fanno capolino solo quando i colleghi ordinari fanno la valigia per le ferie. Su di loro non esistono dati ufficiali (troppi i settori e le tipologie di contratto con cui vengono assoldati, alcune delle quali non sono nemmeno soggette a obbligo di comunicazione d’attivazione) eppure si tratta di un piccolo esercito: meno raccontato ma non per questo più garantito rispetto agli stagionali che nell’estate vedono il periodo di maggior lavoro.
«Nel settore del commercio – ci aiuta a capire Paolo Andreani, segretario generale del sindacato Uil del Terziario (Uiltucs) – le sostituzioni estive sono applicate soprattutto nella grande distribuzione. Nei supermercati, dai megastore fino ai discount, normalmente sono occupati 300mila addetti. Quando una parte di questi lavoratori va in vacanza, viene sostituita da persone con contratti a termine, che vanno da uno a tre mesi e sono prevalentemente part-time. Le aziende, infatti, preferiscono attivare due part-time a 24 ore (con uno stipendio che in media si aggira intorno agli 800 euro lordi) invece che uno solo full-time perché questi contratti permettono di collocare i lavoratori in orari flessibili e con turni di sole 4 ore. Al part-time, poi, si possono chiedere con più facilità ore supplementari e disponibilità per il fine settimana».
Ma chi accetta il subentro estivo? Sono decine di migliaia di persone, soprattutto donne e giovani dai 20 ai 35 anni; rientrano in quei 3 milioni di lavoratori poveri che in un anno mettono insieme un reddito inferiore a 11mila euro. «Spesso i sostituti estivi – continua Andreani – accumulano altri rapporti a tempo determinato durante l’anno, magari in occasione delle feste natalizie. Per loro il tema è la discontinuità che sfocia nella precarietà: salariale oggi e previdenziale domani». Le sostituzioni estive, infatti, non aprono quasi mai la porta a un’assunzione: alle aziende conviene il turn over, con contratti sempre nuovi, flessibili, precari e ricattabili. Per la Uil Terziario bisognerebbe invece «formare e poi assumere i sostituti con un contratto part-time a tempo indeterminato e ciclico, da collocare solo in certi periodi dell’anno». Intanto, oltre a colmare il vuoto lasciato dagli addetti in vacanza, le località turistiche estive hanno anche bisogno di più forza lavoro. «Nel settore alberghiero – illustra Davide Guarini, segretario generale del sindacato dei Lavoratori del Terziario Cisl Fisascat – normalmente ci sono 350-400mila addetti che, nel periodo estivo, raddoppiano. Ma aumentano anche le attività commerciali presenti nelle zone turistiche: qui abbiamo una crescita di un terzo dei lavoratori».
Il lavoro stagionale è molto attrattivo per studenti, giovani, donne e stranieri ed è caratterizzato da una buona componente di lavoratori che ne sono strutturalmente coinvolti. «Per non perdere la loro professionalità – ipotizza Guarini – e continuare ad offrire ai clienti un servizio qualificato, bisogna tutelare questo personale, per esempio prevedendo un ammortizzatore sociale speciale che garantisca la copertura reddituale e contributiva per il periodo di fermo dei lavoratori stagionali del turismo specificatamente studiato e definito fra le parti. Serve anche salvaguardare la fruibilità dei riposi compensativi e le adeguate turnazioni, garantendo una qualità della vita lavorativa adeguata per evitare che ci si allontani dal lavorare nel settore: se manca la soddisfazione dei lavoratori ne va della qualità del servizio e si rischia di perdere potenzialità di ulteriore sviluppo e miglioramento dei servizi a discapito dei turisti, che già attualmente hanno tantissime alternative all’Italia».
Purtroppo invece, nella massa di coloro che si affannano per potenziare il numero di lavoratori per gestire la clientela accresciuta, c’è anche chi ricorre al lavoro nero o a contratti pirata con pochissime tutele. Nel bacino da cui s’attinge per questo ruolo ci sono anche gli stagisti, che tra giugno e settembre sembrano moltiplicarsi. «L’estate – conferma Eleonora Voltolina, fondatrice della testata-osservatorio La Repubblica degli stagisti – è il momento d’oro per questa categoria. Il settore che più ne usufruisce è ovviamente quello ricettivo-turistico che cerca giovani appena usciti dalle scuole professionali. Una grande massa di manodopera potenziale per la quale si può attivare una convenzione di stage. Per i datori di lavoro è molto conveniente: lo stagista non ha diritto a contribuiti, Tfr, malattia, maternità e, a dir la verità, nemmeno a una vera retribuzione... Solo nel caso di stage extracurriculari (che iniziano quando non si risulta iscritti a nessun percorso di studio, ndr) è prevista un’indennità mensile che varia da regione e regione: si va dai 300 euro della Sicilia ai 500 previsti in Lombardia».
Il problema, però, non è tanto questo bensì l’uso improprio dello strumento dello stage, attivato anche per lavori in cui l’addestramento richiederebbe pochissime ore. «Abbiamo ricevuto molte segnalazioni di questo tipo – ammette Voltolina –. Un esempio: una ragazza presa come cameriera al piano di un hotel ha imparato in un giorno come rifare un letto ma per un’intera stagione è stata “tirocinante”. Moltissime strutture ricettive affidano in esclusiva le mansioni agli stagisti, che si trovano a fare turni da soli, anche di notte». Il dramma è che la questione non riguarda solo i giovani. Dei circa 300mila tirocini attivati ogni anno (nel 2023 sono stati esattamente 283mila), ben 45mila hanno come protagonisti lavoratori con più di 35 anni e di questi quasi 10mila sono addirittura over 55.