Di fronte alle tensioni che attraversano il Pd sulla riforma del lavoro il segretario Pierluigi Bersani cerca di riprendersi la scena lanciando un avvertimento al governo e un assist alle confederazioni sindacali: se non ci sarà accordo con le parti sociali il nostro sì non è scontato, ha detto parlando in tv. Per Bersani la riforma va fatta dopo avere raggiunto un’intesa con le parti, mentre lunedì il presidente del Consiglio Mario Monti aveva ribadito che il governo cercherà l’accordo ma andrà avanti comunque. Una frase che il leader del Pd ha detto ieri di «non condividere» e che inquieta anche Raffaele Bonanni: «Da quello che ho capito il governo vuole rompere la trattativa per fare quello che vuole – ha detto il segretario della Cisl – ma noi non lo permetteremo e non molleremo il tavolo, inchioderemo l’esecutivo alle sue responsabilità». Il negoziato riprende domani al ministero del Lavoro, con una nuova sessione dedicata agli ammortizzatori e alla precarietà mentre dal primo marzo si entra nel capitolo più spinoso, quello dei licenziamenti. I tempi sono ormai abbastanza stretti. E i problemi non mancano, come dimostra anche lo scontro tra Emma Marcegaglia e i sindacati sull’articolo 18 (vedi articolo sotto). Ma una nota di ottimismo arriva da Elsa Fornero, che guida la delegazione del governo nella trattativa con le parti. Una riforma condivisa è «assolutamente possibile» e «io lavoro per un accordo con i sindacati», ha assicurato il ministro durante un’audizione alla Camera.Tornando al Pd, Bersani ha detto di non condividere le parole di Monti perché «oggi è importante tanto la riforma e l’innovazione quanto la coesione, bisogno di fare una scommessa assieme e il governo deve essere impegnato a trovare l’intesa». Ma «se malauguratamente non ci fosse l’accordo, noi valuteremo sulla base delle nostre proposte l’esito delle decisioni del governo». Quindi il sì non è scontato? «No, vogliamo vedere cosa viene fuori», ha chiarito il capo del Pd. Un fallimento del negoziato e una riforma osteggiata dai sindacati, o anche dalla sola Cgil, metterebbe il Pd sulla graticola, portando ancor più allo scoperto le divisioni interne. Un esito che Bersani sta cercando di evitare.Anche Bonanni boccia le dichiarazioni di Monti: il premier «invece che aiutare crea ostacoli. L’ha detto una volta (che andrà avanti anche senza intesa, ndr) e una seconda, la terza volta non è il caso di dirlo», ha aggiunto, rilevando che «il Paese ha bisogno di serenità per decidere e non di litigi. Non ho mai visto una buona riforma nascere dal contrasto». Il leader della Cisl ricorda che «il negoziato si fa rispettando l’interlocutore. Noi abbiamo fatto anche delle proposte che sono stabili, vorrei che il governo avesse proposte altrettanto stabili». E Susanna Camusso dalla Cgil, ribatte a Monti che «minacciare non serve mai. Noi continuiamo a insistere che su una materia così complessa come l’ingresso al lavoro e gli ammortizzatori è bene fare un accordo con le parti sociali».L’altolà di Bersani al governo può piacere ai sindacati ma in campo politico provoca contraccolpi nell’area di maggioranza dove il Pdl chiede al premier di tirare diritto: «Diremo a Monti di andare avanti senza timidezza sulle riforme – ha detto il segretario del Pdl, Angelino Alfano –. Se il partito ha deciso di appoggiare il governo, lo ha fatto perché sa che l’esecutivo non si farà condizionare». Alfano oggi incontrerà il presidente del Consiglio insieme a Silvio Berlusconi. Attacca direttamente il Pd il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto: «La presa di posizione di Bersani è una forzatura, questo non può essere un governo che dipende dalle valutazioni della Cgil».