sabato 7 dicembre 2013

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La nostra è dunque una società «sciapa e infelice». Lo attesta il Censis nel suo annuale rapporto giunto alla 47esima edizione. Spiega Giuseppe De Rita, il presidente dell’istituto: «Occorre il fervore del sale alchemico che crea il mutamento degli elementi». I dati offerti consentono di uscire dalla metafora utilizzata per non dire che siamo sull’orlo di un baratro. «C’è però una stabilità – spiega De Rita – che viene imposta da fuori e che viene giudicata necessaria. Ma è importante sottolineare che c’è una forma di instabilità, legata al conflitto sociale e politico, che va lasciata a se stessa e alla sua ordinaria dinamica». Il mare è mosso ma non bisogna temere la tempesta. Questo nostro scivolare verso il basso – è ottimista il direttore del Censis Giuseppe Roma – probabilmente si fermerà nel 2014 grazie a due componenti: le famiglie e le imprese. «La famiglia – dice – ha messo in campo diverse strategie: rinunciare, risparmiare, rinviare creando un modello nuovo di consumo». La parola d’ordine anche per le imprese è stata «sopravvivere». Il filo rosso per ripartire è la «connettività» fra i soggetti coinvolti nei processi sociali. Concorda il presidente del Cnel, Antonio Marzano: «Adesso – dice – bisogna andare oltre, occorre non soltanto sopravvivere ma avanzare, ed è compito della classe politica ottenere questo risultato».Anche quest’anno, il rapporto è un librone così di dati: l’Italia fotografata di fronte e di profilo. La famiglia, si è detto, ridefinisce i consumi: il 76 % dà la caccia alle promozioni, il 68 % ha ridotto cinema e svago. Tutto per incentivare, in mancanza di meglio, il welfare familiare. La recessione ha portato alla cessazione di più di 1,6 milioni di imprese tra il 2009 a oggi, però i negozi di vicinato, pur spiazzati dalla grande distribuzione, hanno registrato un lieve incremento: da 168 mila a quasi 181 mila nell’ultimo biennio.A salvare la baracca, in qualche modo (e il termine non sia irriguardoso), le donne e gli immigrati. Alla fine del secondo trimestre del 2013 le «imprese rosa» (circa 1,5 milioni) erano il 23,6 % del totale. Crescono gli stranieri di fronte alla crisi che colpisce gli esercenti italiani. Gli imprenditori extracomunitari che lavorano in Italia sono 379.584 e cioè più 16,5 % negli ultimi tre anni.I giovani vanno via, anche se il Censis ricorrendo a un rassicurante eufemismo li chiama «navigatori del nuovo mondo globale». In ogni caso se ne vanno. Nell’ultimo decennio il numero di cittadini che si sono trasferiti all’estero è più che raddoppiato, passando da circa 50 mila nel 2002 ai 106 mila del 2012. Nel 54,1% si tratta di giovani con meno di 35 anni. Il Censis li chiama anche «risorse disponibili all’estero». Tutto sta a recuperarle.Saggiando il livello culturale del Paese risulta poi che il 21,7 % della popolazione italiana con più di 15 anni ancora oggi possiede al massimo la licenza elementare. Il 2 % dei giovani tra i 15 e i 19 anni non ha mai conseguito la licenza media, e questo è giudicato un campanello d’allarme. L’integrazione scolastica dei disabili è poi una corsa a ostacoli per l’insufficienza e l’inadeguata specializzazione dei docenti e per la difficoltà nella gestione dei rapporti con gli altri soggetti coinvolti nel processo di inserimento.L’incertezza anche nel lavoro è dilagante. Un quarto degli occupati è convinto che nei prossimi mesi la propria condizione lavorativa andrà peggiorando; il 14% teme addirittura di perdere il posto di lavoro. Il numero degli occupati tra i 35 e i 44 anni è diminuito nel 2013 di quasi 200 mila unità, facendo registrare una contrazione del 2,7 per cento. Il welfare informale, infine, è un costo che grave sulle famiglie. Soltanto il 31,4 % delle famiglie riesce a ricevere una qualche forma di contributo pubblico. La maggioranza (56,4%) non riesce a farvi fronte ed è corsa ai ripari, negli unici modi possibile: rinunciando, riducendo, rinviando. Tirando cioè la cinghia.
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